lunedì 24 luglio 2023
Nello scorso millennio credevamo che sul tempo si potesse sbagliare, ma solo per colpa dei venti capricciosi che cambiano direzione, niente di più. Poi iniziammo a chiamarlo meteo. Le spiegazioni degli esperti in divisa erano rassicuranti, non sui nostri pic-nic, ma sulle tecnologie sempre più avanzate e satellitari che avrebbero ridotto i margini di errore. Abbiamo imparato alte e basse pressioni, vortici, millibar, anticicloni delle Azzorre. Prima il paterno Bernacca, poi il nuovo Caroselli avevano contribuito a renderci opinionisti social ante-litteram, da pianerottolo, insomma.
Passano gli anni, cadono tante barriere, elettronica e informatica ci rassicurano sull’infallibilità della scienza, poi internet ci ragguaglia in tempo reale sul minuto esatto in cui la prima goccia di pioggia ci colpirà all’uscita dal parrucchiere al quale, da meteo-credenti, chiederemo di spostare l’appuntamento. Ma poi non piove, accidenti, potevamo andarci. E ricordiamo le parole dei tele-meteo-veggenti, i quali spiegano che le previsioni oltre due giorni hanno sempre meno valore. La perfezione si avvicina: internet ci assicura in diretta che alle 16,20 c’è sole pieno, l’orologio dello smartphone segna le 16,20, ma diluvia al punto che il marciapiede davanti a noi si allaga in un attimo. Sarà un ventaccio pazzerello, anche se ci chiediamo come i web-eoli non correggano i dati in tempo reale.
Fin qui solo argomenti da inglesi in treno, o da francesi che definiscono una conversazione generica “parler de la pluie et du beau temps”. Ma l’umanità da plagiare deve prima essere convinta di fare un salto culturale, per essere pronta a recepire concetti ben più complessi delle smanie per la villeggiatura. Ai più anzianotti viene in mente uno slogan sessantottino secondo cui tutto è politica, anche il cacio sui maccheroni. E sorge un dubbio, ma forse è solo una sciocchezza subliminale: no, la politica non si approprierà mai delle nuvole per i suoi bassi scopi. Una follia, che non osiamo neppure esternare. Ma poi la vecchia storia dei tre indizi che fanno una prova si fa timidamente strada. E si intuisce che gli schieramenti politici stiano già cavalcando questa nuova battaglia.
Cambia il linguaggio: bomba d’acqua è, sì, una pigrizia di giornalistucoli copia-incolla, ma è anche un termine che si insinua nelle nostre menti, associando alla pioggia qualcosa di cruento, che incute paura. Iniziamo a sospettare, ma no, il meteo è un concetto duro e puro. Attendiamo conferme, anche se milioni di seguaci per un prodotto di consumo come Greta, che accusa il mondo di averle rubato i sogni, non sono una buona premessa. Ridicola, fintissima, eppure sono costretti a invitarla nelle istituzioni internazionali, Onu in testa, dove lei, per coerenza, si reca a piedi o a nuoto. Contro le affermazioni che qualcuno le fa pronunciare si leva, fra gli altri, un accademico come Antonino Zichichi, precisando che cambiamento climatico e inquinamento globale non sono in connessione: il clima, dunque, non cambia per colpa nostra.
E si scatena la polemica: il fronte opposto lo accusa non solo di aver scritto assurdità, ma di avere presentato una petizione con trentasette scienziati, molti dei quali si sarebbero in qualche modo dissociati e, in alcuni casi, avrebbero addirittura negato di averla firmata. Piergiorgio Odifreddi conia il termine Zichicche, e qualcuno comincia a nutrire dubbi sui miti che la nostra mente ha accettato. Un matematico e scrittore, laureato in Siberia, polemista e divulgatore contro uno scienziato con un curriculum mitologico, leggerlo su Wikipedia richiede un quarto d’ora: gli hanno persino dedicato un asteroide, 3951 Zichichi. A chi credere, o meglio da quale luminare avremmo mai il coraggio di dissociarci? Intanto il Giornale abbraccia le tesi del siciliano, la sinistra le ridicolizza. È guerra, globale.
Nicky Ocean vive su una barca, attraccata, però, a un molo di Manhattan. È un meteo-attivista social molto seguito, si vanta di aver previsto il momento esatto in cui una pioggia torrenziale sarebbe cessata. E accusa i Repubblicani di negare il rapporto fra emissioni industriali e aumento delle temperature globali. Si manifesta, in mezzo mondo, su piazze reali e soprattutto virtuali, contro le pericolose manipolazioni che, studiando appena un po’, si scoprono essere vecchie di due secoli: ancora un americano, James Pollard Espy, detto il re delle tempeste (e il soprannome la dice lunga), nella prima metà dell’800 usò il telegrafo per veicolare le previsioni meteo e, per combattere la siccità, propose di bruciare immense foreste. L’idea non ebbe seguito, ma è un fatto che negli anni Settanta l’Onu bandì l’uso bellico delle modificazioni ambientali, e i primi firmatari furono proprio quegli Stati Uniti che erano riusciti a spargere nuvole sulla strada verso il Vietnam del Sud per evitarne l’invasione da parte di Ho Chi Minh. La storia racconta che le nuvole non bastarono.
Ora tutto questo emerge e, come è costume nell’era web-social, la guerra sfocia nel banale. Il caldo è di sinistra, il fresco di destra. Le agenzie meteorologiche di Spagna, Australia e Francia sono state recentemente accusate di aver inventato una siccità, alterato termometri e avere mal posizionato le stazioni meteo per enfatizzare il riscaldamento globale. Ed è guerra di comunicati. I siti web sono a senso unico. Alexandre Lopez-Borrull, docente universitario di Comunicazione in Catalogna, inserisce anche il Coronavirus in questa battaglia insensata e afferma che i teorici della cospirazione e i negazionisti che prima ne parlavano ora diffondono disinformazione sul cambiamento climatico.
Dunque, non esistono più certezze né tabù. E non sono solo gli attivisti dei vari fronti a potersene cibare: polemiche, ad esempio, degli albergatori, per i quali il meteo significa soldi, non chiacchiere. Una previsione pessimistica fa perdere cifre folli al settore turistico, che lavorerà meno e dovrà ribassare i prezzi per compensare il rischio-maltempo. Ma dopo infinite analisi la conclusione è che gli errori in positivo compensano quelli in negativo.
È comunque un fatto che tutto questo movimento ormai non più occulto stia cambiando il nostro lessico: allerta meteo, allarme, colori giallo, arancio, rosso che opprimono, spaventano, classificano come perfetto ciò che non lo è per nulla. Termini altisonanti, terrorizzanti, che ci angosciano molto prima che l’evento si scateni. O non si scateni affatto. L’importante è la paura, che ci porta ad approfondire, ma le ricerche conducono spesso a tesi incrollabili di adepti, affiliati, intruppati, plasmatori di scienze varie, soldatini di eserciti politicanti.
Paolo Sottocorona, meteorologo a La7, ha la faccia perennemente preoccupata. In un’intervista nega la relazione fra episodi di caldo eccessivo e riscaldamento globale, definisce stupidi e non malvagi quelli che fanno terrorismo sul clima, per non parlare di chi, per sparare la notizia, insegue record arrotondando le temperature fino a cinquanta gradi e oltre. In Italia non ci sono mai stati cinquanta gradi, afferma Sottocorona, nemmeno se si tira fuori l’espediente della temperatura percepita. Il riscaldamento globale è un concetto molto relativo, ma dovremo abituarci a sbalzi violenti e a una ridefinizione del concetto di stagioni.
Infinite voci su un argomento un tempo degno di rispetto, ora caduto, come quasi tutto, nelle grinfie di fattucchieri della politichetta spicciola, i quali – nella comunicazione del Terzo millennio – hanno pari dignità rispetto a chi ha studiato e cerca di ridurre seriamente i margini di errore. In un mondo che non sembra più interessato alla verità, ma solo al titolone.
di Gian Stefano Spoto