L’insopportabile lesione dello Stato di diritto

sabato 15 luglio 2023


Non c’è nulla di più stucchevole che assistere per l’ennesima volta al melenso balletto fra politici e magistrati associati con il rispettivo scarico di responsabilità circa la vicenda di Andrea Delmastro Delle Vedove o di Daniela Santanchè.

E nulla di più assurdo che ascoltare ancora una volta da parte di molti commentatori le loro opinioni sulla contrapposizione fra garantisti e giustizialisti: i primi sarebbero i partiti di governo, mentre i secondi quelli di opposizione.

Forse è il caso di tentare un poco di chiarezza in questa ripetuta confusione di parole e di concetti.

Infatti, questa differenza fra garantisti e giustizialisti è priva di ogni fondamento, per il semplice motivo che il diritto in sé – con le sue impalcature, i suoi interdetti, i suoi limiti – costituisce già una garanzia per la coesistenza umana, la più alta delle garanzie, e che perciò dirsi garantisti o giustizialisti è privo di senso, in quanto la vera contrapposizione è invece fra chi prende sul serio il diritto, esigendo sia rispettato, e chi invece intende aggirarlo, eluderlo, farne una sorta di scherzo pubblico mal riuscito.

Sicché il vero scontro oggi in Italia si consuma fra chi, da un lato, chiede che le previsioni delle norme giuridiche siano portate al loro effetto, e chi, dall’altro, fa in modo che non lo siano: insomma, fra chi è per il diritto e chi invece è contro il diritto.

Così, per esempio, chi mette fra parentesi la presunzione di innocenza stabilita nella Costituzione o intende limitare il diritto di appello non è giustizialista, ma semplicemente uno che assume un comportamento antigiuridico; chi invece difende la libertà personale da un eccesso di carcerazioni preventive troppo sbrigativamente adottate non è un garantista, ma semplicemente uno che ha a cuore le ragioni del diritto: perché diritto e persona umana sono la medesima cosa (non a caso per Rosmini la persona è il diritto sussistente).

Orbene, cosa sta accadendo in questi giorni ?

Semplicemente quello che accade da decenni senza che nessuno abbia mai adottato provvedimenti determinanti.

Da un lato il ministro Carlo Nordio, il quale, come è suo diritto e dovere, intende avanzare alcune riforme, appoggiato da una maggioranza politica compatta; da un altro lato, l’opposizione antigovernativa che le contesta e che, come punta di diamante, si appoggia sull’Associazione Nazionale Magistrati. In questo modo, l’Anm viene di fatto ad assumere il ruolo improprio di interlocutore politico del ministro e del Governo nella sua interezza, ruolo che non le compete, perché mai attribuito né attribuibile in alcun modo da nulla e da nessuno.

Nel nostro sistema costituzionale, si assume un ruolo compiutamente politico solo attraverso il consenso popolare ottenuto in libere elezioni e non risulta che l’Anm abbia mai ottenuto un solo voto che ne fondasse la rappresentatività politica.

Perciò la pretesa di introdursi nel processo di formazione delle leggi appare doppiamente indebita: per un verso, perché l’Anm è priva di qualunque potere rappresentativo; per altro verso, perché, ammesso e non concesso che di un tale potere goda, interferire in quel processo significa alterare il delicato equilibrio che regge la separazione dei poteri, facendo sì che gli stessi soggetti prima contribuiscano a formare le leggi che essi stessi, dopo, sono chiamati ad applicare.

Ci vuole poco a capire come questa dinamica – ripetuta infinite volte negli anni – rappresenti una lesione insopportabile, in quanto assai grave, della separazione dei poteri, cardine dello Stato di diritto.

Neppure vale a sanare una tale lesione, il fatto – in sé degno di uno studio di carattere antropologico – che l’Associazione assuma a volte anche i connotati della depositaria ufficiale dell’etica pubblica, perché, vista così, la cosa fa solo sorridere, non lasciando però di suscitare preoccupazione. E la suscita perché nello Stato di diritto i magistrati non possono mai assumere ruoli di tutori della pubblica morale, dovendosi invece limitare ad interpretare ed applicare le leggi (cosa in sé già molto complessa e delicata) che altri hanno il compito di formalizzare: il Parlamento.

E se lo facessero per davvero – come Giovanni Calvino nella Ginevra del Cinquecento – meglio sarebbe cambiare aria per tutti: soprattutto per gli innocenti.


di Vincenzo Vitale