sabato 15 luglio 2023
Come se non bastassero i problemi (tanti) che ci sono, la sinistra prova a montare una gazzarra sulla decisione del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, di dimezzare la durata dello sciopero dei lavoratori del comparto dei trasporti ferroviari indetto dalle organizzazioni sindacali inizialmente dalle ore 3 del 13 luglio fino alle ore 2 del giorno successivo. Grazie alla precettazione ordinata dal ministro lo stop ai treni è durato solo 12 ore. Domandiamoci se sia sensata l’accusa rivolta a Matteo Salvini di aver boicottato l’iniziativa sindacale, giungendo a comprimere il diritto di sciopero costituzionalmente garantito. È nostra opinione che il ministro non abbia fatto bene, ma benissimo a intervenire. E per questo merita la lode, e meno che mai una censura. Parliamoci chiaro, oltre un decennio di melassa consociativa hanno obnubilato la mente degli italiani.
Si è fatto credere loro che l’interesse nazionale sarebbe stato garantito da un groviglio indistinto di poteri, all’interno del quale avrebbero trovato tutti – partiti, sindacati, associazioni datoriali e altri corpi intermedi – una naturale quanto comoda collocazione. Invece, non c’è stato niente di più tossico per la democrazia che è innanzitutto chiara e netta distinzione di posizioni e ruoli tra le parti in campo. La recente vittoria elettorale del centrodestra consente oggi di rimettere le cose al loro posto. Ciò significa che non tutto può essere consentito, per cui anche il diritto di sciopero per essere legittimo deve tornare a contemperarsi con la salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati.
Evidentemente un’astensione dal lavoro di 24 ore del personale afferente alle due società che coprono la mobilità sull’intera rete ferroviaria nazionale nel periodo di punta della stagione estiva è stata giudicata dannosa dal ministero delle Infrastrutture. E, aggiungiamo noi, dal buonsenso. Lo sciopero nel comparto dei servizi essenziali non ha il medesimo impatto di qualsiasi altra forma di protesta sindacale. Perché, se è vero che l’istituto giuridico dello sciopero, che crea un danno economico-patrimoniale principalmente alla parte datoriale, è concepito per costringerla a negoziare con le rappresentanze dei lavoratori i contenuti e le modalità del rapporto di lavoro, nel caso dell’interruzione nell’erogazione di servizi essenziali il maggiore danno non lo ricevono le aziende interessate dalla protesta ma lo subisce la collettività nel suo complesso. E ciò non è accettabile. Vigente il sistema della gestione consociativa del potere queste cose non si potevano dire.
Ora che qualche nebbia comincia a diradarsi, parlar chiaro torna a essere un’opzione praticabile. Si obietterà: c’è stata una legge – la numero 146 del 12 giungo 1990 – che è intervenuta a disciplinare in modo stringente il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e i sindacati, nell’indire l’astensione di questi giorni, si sono attenuti alle disposizioni normative previste in materia di tutela dei diritti degli utenti. È vero, tutto è stato fatto in piena regola. Ma è normale che un sistema-Paese venga bloccato per un tempo prolungato proprio nel momento in cui ha bisogno di accelerare in vista della ripresa economica? La mobilità su ferro non riguarda solo la pur ampia fascia dei pendolari che quotidianamente utilizzano il trasporto ferroviario per i loro spostamenti, ma incide significativamente sulla gestione dei flussi turistici. Quale danno si fa all’immagine e al Pil dell’Italia permettendo che le folle di turisti che arrivano nel Belpaese per trascorrervi le vacanze finiscano bloccati nelle stazioni ferroviarie, ostaggi degli scioperi, non per qualche ora – che già sarebbe un pessimo segnale da mandare ai mercati che incrociano la domanda turistica con l’offerta – ma per un intero giorno e due notti?
Sarebbe da irresponsabili tollerare un tale disservizio, intenzionalmente causato. Giustissimo quindi che il ministro abbia usato la mano pesante precettando i lavoratori, dopo avere – come prevede la legge – inutilmente invitato le parti a desistere dai comportamenti pregiudizievoli, e avere esperito un tentativo di conciliazione. È chiaro che Salvini abbia agito perché ha rilevato la sussistenza di un fondato pericolo per la difesa dei diritti della persona costituzionalmente garantiti. Lo vogliamo crocifiggere per essersi preso cura delle elementari necessità degli italiani? Non bastava la vile accusa, che gli è stata scaricata addosso, di sequestratore di migranti illegali quando era ministro dell’Interno con il Governo Conte I? Pazienza, quindi, per i propositi bellicosi dei sindacati i quali – volendo ricorrere a una metafora in tema – si sono dovuti “attaccare al tram”. Resta la loro collera verso il ministro per un’iniziativa giudicata vergognosa, sbagliata e illegittima. Ma tant’è.
I sindacati, piuttosto che abbaiare alla luna, farebbero bene a fermarsi un momento e a riflettere su quali potrebbero essere le strategie migliori per difendere gli interessi dei lavoratori senza per questo danneggiare l’interesse generale della nazione. Invece, non contenti dello sganassone rimediato, insistono. Soprattutto adesso che il Tar del Lazio ha respinto il ricorso presentato dalla Federazione italiana lavoratori trasporti-Filt Cgil per sospendere in via cautelare l’ordinanza con la quale il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha dimezzato la durata dello sciopero nazionale dei ferrovieri.
Ci hanno provato ma non gli è riuscito di ricevere il “soccorso rosso” della magistratura amministrativa per tracciare un perimetro d’intangibilità del diritto all’esercizio dello sciopero, una volta soddisfatte le prescrizioni stabilite dalla Legge 146/90 e sue successive integrazioni e modificazioni. Se è così che stanno le cose bisogna che si sia ancora più espliciti con chi si crede più furbo degli altri. Lo sciopero è uno strumento che trova la sua ragion d’essere nella dinamica dei rapporti tra lavoratori e controparti datoriali su materie che attengono la natura del contratto di lavoro, in tutte le sue implicazioni. In nessun caso lo sciopero può essere usato come arma impropria per ottenere risultati che debordino dall’ambito delle relazioni industriali. In passato, vi sono stati casi in cui si è provato a far cadere un Governo usando l’arma degli scioperi.
Non vorremmo che l’autorevole esponente sindacale, segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, di recente visto in assidua compagnia della coppia di diversamente disperati formata da Elly Schlein e Giuseppe Conte, abbia pensato bene di fornirgli un aiutino cercando di mettere i lavoratori contro il Governo. Sarebbe un tentativo maldestro, oltre che una palese violazione della regola democratica della netta distinzione di ruoli tra partiti politici e organizzazioni sindacali. Tuttavia, come era solito ripetere un gigante della politica dello scorso secolo, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. Certo è che la reazione scomposta di Maurizio Landini all’intervento a gamba tesa del ministro Salvini qualche sospetto lo crea sui veri scopi dell’iniziativa sindacale dei giorni scorsi, in parte abortita. Sfruttare le rivendicazioni dei lavoratori per sabotare quella che alcuni chiamano la “luna di miele” del Governo con il popolo italiano è un atto di slealtà che merita di essere duramente stigmatizzato.
Se Maurizio Landini o altri suoi omologhi hanno qualcosa da dire in politica, si dimettano dagli incarichi che ricoprono e si presentino alle elezioni. Diversamente, se davvero hanno a cuore gli interessi dei lavoratori che rappresentano, non devono fare altro che tornare al tavolo delle trattative con le controparti aziendali e spuntare il miglior accordo possibile nell’interesse dei loro iscritti e dei lavoratori del comparto interessato alla protesta. La politica faccia la politica e il sindacato faccia il sindacato. Una democrazia sana si fonda sulla chiarezza dei ruoli. La sinistra che dice di tenerci tanto alla trasparenza, almeno per una volta sia coerente. Inviti Landini e compagni a stare al proprio posto. E la smetta di cercare continue scorciatoie – che siano giudiziarie o sindacali – per colpire una maggioranza alla quale, al momento, non è riuscita politicamente a torcere nemmeno un capello.
di Cristofaro Sola