Rai: si vivrà anche senza Berlinguer, Annunziata e Fazio

martedì 4 luglio 2023


Per una volta, una volta soltanto, piacerebbe leggere qualcosa di decente e serio su Rai, servizio pubblico, doveri, diritti. Invece dei banali, scontati e noiosi bla-bla su Bianca Berlinguer che se ne va con il suo codazzo di Alessandro Orsini e Mauro Corona; Maurizio Mannoni che lascia (il tempo anche per lui è inesorabile, la tagliola della pensione non concede deroga, come a suo tempo fu per Luciano Onder, Vincenzo Mollica o Gianni Gaspari); e prima ancora il pio-pio per Fabio Fazio, Luciana Littizzetto, Lucia Annunziata e quant’altri. Ma saranno digeriti, e non sarà questo un problema per la Rai, come a suo tempo non lo sono stati Giovanni Floris, Lilli Gruber, Michele Santoro. Di sicuro, per quel che riguarda costoro, vale almeno la seconda parte del detto: “Tutti utili, nessuno indispensabile”.

Per una volta, una soltanto, piacerebbe leggere una riflessione sul vero impoverimento (voluto? È l’inesorabile segno dei tempi?) e declino della Rai. Si può cominciare dai giornalisti inviati. C’è qualcuno che si chieda come mai non ce ne sono più del calibro di Carlo Mazzarella, Joe Marrazzo o Franco Ferrari per limitarsi a tre nomi (ma anche Demetrio Volcic, Arrigo Petacco, Gianni Bisiach, Paolo Frajese, Piero Angela, Sergio Zavoli e quanti altri ne potrei citare). I loro servizi scaldavano il cuore. Questi di oggi sono freddi come esecuzioni in dimenticati cd. Non per caso si riesumano i vecchi, polverosi, fruscianti 33 giri...

Ancora: la Rai è povera perché mancano autori, perché mancano idee per programmi che non siano l’insulto giochino; perché nessuno sa fare spettacolo di varietà e scriverne i copioni. E chi è chiamato a incarnarli, non sa raccontare una barzelletta per intere mezz’ore come un Gino Bramieri o un Walter Chiari senza scivolare nel turpiloquio (perfino il più bravo di tutti, Maurizio Crozza, vi indulge).

Poi il punto più di tutti dolente: manca il personale tecnico di supporto. I telegiornali non hanno più i “loro” operatori con cui facevi squadra; ora ci sono gli “appalti” (e anche lì forse qualcuno dovrebbe un giorno metterci il naso per saperne la gestione); i montatori, i tecnici e quell’apparato indispensabile per la messa in onda di un qualsiasi programma di tre minuti o tre ore. Non parliamo poi di una spina dorsale come i documentatori.

È qui che la Rai è stata progressivamente e scientemente svuotata. È qui che è “povera”. È un processo che viene da lontano: da quando un manager che di tivvù non capiva un fico – Pier Luigi Celli – ebbe l’arroganza di teorizzare che per costituire una troupe era sufficiente il giornalista e l’operatore (e il bello, cioè il brutto, è che così poi si fece, da allora).

Figuriamoci se non si sopravvive a una Berlinguer o a un’Annunziata, a un Fazio che se ne vanno. Ma uno che rifletta sul fatto che la Rai non trasmette più un film decente (non è cultura?), un teatro decente (non è cultura?); che ci si riduca a cloni del più bravo (tecnicamente parlando) di tutti (Bruno Vespa) e alla sua formula: un conduttore-domatore, e intorno a lui e allo schiocco della sua frusta una decina di fiere-ospiti che al suo comando alzano la zampa e si producono in un rauco ruggito. Uno che sia uno che abbia pensato “semplicemente” di rovesciare la formula di un ospite solo, per un “x” di tempo, sottoposto all’“interrogatorio” di cinque o sei giornalisti che sappiano cosa e come chiedere conto. Che so, domande “banali” a un ministro dell’Interno come “perché aspettiamo mesi per avere un passaporto?”, ed esigere che la risposta sia in quell’italiano che Alessandro Manzoni cercò sulle rive dell’Arno.

Molti anni fa, organizzato da “Gli amici del Mondo” ebbe luogo un importante convegno, “Verso il regime?”, i cui atti pubblicati da Laterza si devono oggi cercare in librerie antiquarie o su eBay. Un secondo, simile convegno... sarebbe il caso di pensarci.


di Valter Vecellio