L’imperatore della domenica

mercoledì 28 giugno 2023


Kasos è l’isola più affascinante e più sgarrupata del Dodecaneso, e, forse, del Mediterraneo. Ha un migliaio di abitanti, più che altro sparsi per il mondo, perché d’inverno ne rimangono solo un centinaio. Ma è estate, e il papàs, il prete ortodosso, accoglie con ampi saluti le famiglie che in automobile scendono dalla nave e tornano a casa, più che altro per godersi una vacanza e rivedere gli altri semi-esuli.

L’isola ha un primato probabilmente mondiale: da un aeroporto-giocattolo parte un volo per la vicina Karpathos che dura circa otto minuti, ed è straordinario sentire la voce del comandante che, dopo meno di sessanta secondi dal decollo, invita cabin crew (una ragazza) a prepararsi per l’atterraggio.

Domenica scorsa i kassioti pescavano, stavano al bar, nessun’aria di elezioni, del resto disertate quasi dal quarantotto per cento dei greci.

Georghios è l’unico che accenna all’argomento, fra l’indifferenza di lenti bevitori di ouzo. Borbottando, si chiede che differenza ci sia fra avere Kyriakos Mitsotakis come re o come imperatore. Allude al premio della riforma elettorale, da lui stesso creata, che gli ha consentito la maggioranza assoluta dopo quella relativa alle elezioni dello scorso maggio.

Ma nessuno commenta, né controbatte. E alla fine Georghios tace. Non c’è più grande interesse nel discutere le vicende politiche di un Paese la cui superficie, se il mare fosse terra, sarebbe uguale a quella degli Stati Uniti. Un Paese di emigranti che respinge con decisione i migranti, una nazione democratica in cui i salari sono ancora bassi, mentre i prezzi salgono come in tutto il continente.

Il turismo porta guadagni sempre più alti, ma le strutture importanti sono state vendute, a iniziare dal porto del Pireo, che i cinesi gestiranno fino al 2052. La sanità pubblica è molto carente nella Grecia continentale, per non parlare della situazione nelle isole minori.

Frange estreme a parte, i greci sono politicamente indolenti, esterofili pur amando la propria terra, e grandi osservatori degli scenari stranieri anche grazie al fatto che i film non vengono doppiati, ma sottotitolati, così quasi tutti parlano un buon inglese.

L’Italia va a destra, andiamoci anche noi: così Kyriakos, che vuol dire Domenico, domenica scorsa ha realizzato il sogno di essere il più forte, non si sa per quanto tempo.

Perché dalla caduta del regime dei colonnelli si sono alternati regolarmente Nèa Dimokratia e Pasok, centrodestra e socialisti. C’era il padre di Domenico, Konstantinos Karamanlis, quando ci fu la grande crisi del 2008, con il Pil crollato del trentanove per cento e la popolazione terrorizzata che, in lunghissime file al bancomat, non poteva ritirare più di cinquanta euro, quando e se li trovava.

Gli succedette il socialista Giorgos Papandreou, il quale poi si dimise, non riuscendo a contenere la situazione e, in particolare, la crisi del debito. Poi, fra unità nazionali e toppe malriuscite, arriva il giovane Alexis Tsipras, di Syriza, la nuova sinistra che sembra piacere a tanti, in Grecia e nei salotti buoni d’Europa, e resiste per quattro anni, producendo miti mondani come quello di Gianis Varoufakis, ministro dell’Economia, ma soprattutto mago nel trasformare gioiosamente in oro le proprie sconfitte politiche scrivendo libri di successo e girando il mondo per tenere conferenze che l’hanno reso ricco. Nelle pause creava aforismi, come quello secondo cui i greci sono straordinariamente bravi nell’autoflagellazione: non per senso di colpa, per realismo.

Ora Syriza si deve accontentare di quarantotto seggi contro i 158 di Nèa Dimokratia, e non le serve più a nulla raccattare le briciole di un’estrema sinistra più vociante che esistente, con ventidue seggi al Kke, i comunisti un tempo filo-sovietici, mentre i conservatori, guidati dal figlio d’arte Kyriakos, cercano soluzioni in un Paese che ha venduto troppi gioielli di famiglia e che non è solo le Mykonos e le Santorini che abbagliano il mondo, è anche Epiro, Tessaglia, Macedonia e tante zone interne in cui la vita è rimasta decenni indietro.

In questa mission impossible è difficile immaginare quale ruolo possano avere altri gruppuscoli variamente estremisti come i destroidi Spartiates (spartani) e Soluzione Greca. Sta di fatto che hanno racimolato dodici seggi ciascuno, a cui si aggiungono altri dieci di Niki, non meglio identificato gruppo di estrema destra.

Sparsi dunque alla meta mentre si apre l’era Mitsotakis II, che la riforma elettorale ha reso l’uomo che non deve chiedere mai.


di Gian Stefano Spoto