venerdì 16 giugno 2023
Se il XX secolo è stato sotto il segno positivo degli Stati Uniti d’America, e per converso, in negativo, sotto quello dell’Unione Sovietica, dando così forma simbolica al bipolarismo che ha retto le coordinate mondiali per quasi cinquant’anni, il XXI si annuncia sotto il segno negativo della Cina, potenza globale che potrebbe sopravanzare gli Stati Uniti, e, all’opposto, sotto quello positivo della Nato. Il secolo è iniziato infatti all’insegna di una forte presenza della Nato, la quale include ovviamente come partner principale e di riferimento gli Stati Uniti, ma che è diventata un’entità molto più ricca e articolata rispetto a qualche decennio fa.
Precisato che la Nato è per statuto e nei fatti un’organizzazione esclusivamente difensiva, di solidarietà fra Stati e di reciproca protezione da eventuali attacchi da parte di Paesi terzi, va detto che non tutto, nei vari scenari di intervento, è andato bene, anzi: talvolta le cose sono andate decisamente male, progetti falliti, iniziative perdenti (per fare un esempio macroscopico: l’Afghanistan è un rovescio oggettivo), e tuttavia, paradossalmente, la necessità della Nato si è evidenziata anche con quel fallimento, avvenuto perché essa era posta in condizioni di operatività, non solo militare ma anche politica, limitate. Dopo gli anni tempestosi della guerra fredda, in cui la Nato rappresentava la barriera occidentale dinanzi alla cortina di ferro, la caduta di tensione post-1989 e la connessa penetrazione dei dogmi politicamente corretti anche nel campo della difesa e sicurezza hanno determinato la marginalizzazione della Nato.
Ora invece, a invertire quella tendenza dismissiva, una prova di forza e autorevolezza arriva dall’impegno con cui da oltre un anno la Nato sta sostenendo l’Ucraina nella sua guerra di liberazione dall’invasione russa. Oggi vediamo un effettivo cambio di passo nei rapporti interni alla Nato fra Stati Uniti ed Europa, con quest’ultima ad avere un peso maggiore rispetto al passato perché si sta assumendo maggiori responsabilità. Certo, accorgersi che il vecchio nemico dell’Europa, quella Russia che oggi è solo cambiata di facciata rispetto all’Unione Sovietica, non ha mai abbandonato le sue pretese espansionistiche sui Paesi dell’Europa orientale ed è diventato concretamente pericoloso per l’intero continente, ha senza dubbio dato all’Europa una scossa di realtà, ma accanto a ciò sembra esserci da parte europea anche una maggiore consapevolezza che la dimensione militare, in tutti i suoi aspetti, è di importanza fondamentale per il proprio futuro, perché la storia ci ha sempre detto che la difesa armata è necessaria anche in tempo di pace, perché – è ancora la storia a insegnarcelo – il livello di sicurezza nazionale è proporzionale al grado di potenza difensiva, ed è questa proporzione a costituire l’architrave della libertà delle persone e delle nazioni. Ed è perciò, che possiamo dire che il futuro è Nato.
Oggi Nato significa anche Europa, non semplicemente l’Europa istituzionale ma soprattutto l’Europa vitale dei popoli e delle nazioni. Se l’Unione europea è impastoiata dalla ragnatela della burocrazia e troppo spesso agisce a detrimento delle nazioni e a danno dei popoli, la Nato invece ha una mobilità e una rapidità con cui dispiega una concreta difesa di popoli e nazioni, nel malaugurato ma non impossibile caso in cui uno Stato membro venga aggredito.
Che ci sia bisogno, per così dire, di più Nato, e che essa debba venir rafforzata non solo sul piano tecnico degli armamenti e nemmeno solo su quello strategico della dislocazione, ma pure su quello di carattere politico, è un’intuizione che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avuto da tempo e che ha praticato fin dall’inizio del suo Governo, imprimendo all’Italia una sterzata atlantista che non si vedeva dalla fine della guerra fredda, da quando cioè la minaccia sovietica sembrava essersi dissolta. Sembrava, appunto, ma l’apparenza spesso inganna, soprattutto se la realtà è ben camuffata dalla propaganda, e così l’Occidente aveva per lo più archiviato quella minaccia, un po’ confidando nelle profferte russe di amicizia e un po’ speculando sugli affari che se ne potevano ricavare. La stessa Nato veniva considerata obsoleta e perfino inutile, dato un molto pragmatico rapporto fra costi e benefici. Tutto secondo i piani di coloro che avrebbero tratto vantaggio dalla sua eliminazione o almeno da un suo ridimensionamento. Nella trappola russa (neosovietica) caddero molti leaders occidentali, anche grazie all’incessante lavorìo di quell’amalgama internazionale che, nelle vesti del politicamente corretto, spingeva per smantellare le nazioni, dismettere gli eserciti, cancellare i confini, a tutto vantaggio dei nemici esterni ed interni dell’Europa e dell’Occidente. L’urto che riportò alla realtà quei politici globalisti ipnotizzati da Mosca avvenne il 24 febbraio 2022 con l’invasione dell’Ucraina. Da quel momento, la Nato è ridiventata ciò che era, e ha iniziato a diventare ciò che dovrà essere.
Fare politica dunque attraverso la Nato: ciò significa, in generale, concepire di volta in volta le condizioni per proteggere la pace e la sicurezza dei popoli aderenti, e in particolare poi, da un lato, ripensare e rilanciare il nesso fra pace e armamenti, perché la prima non può essere mantenuta senza che le armi di difesa siano adeguate e il più possibile avanzate, e dall’altro lato comprendere come una struttura militare difensiva multinazionale, applicata sul quadro strategico globale, possa essere anche una piattaforma per operazioni spiccatamente politiche su larga scala, continentale e mondiale.
La geopolitica della Nato è dunque una forma della strategia politica dell’Occidente nel suo insieme e, per evidenti ragioni ed esigenze territoriali, delle nazioni europee nel loro assetto complessivo e nelle circostanze particolari di ciascuna. Perciò l’Occidente deve investire di più sulla Nato; e le sue singole nazioni devono contribuirvi con un atteggiamento propositivo e rinnovando lo spirito originario da cui essa è sorta e con cui è stata redatta, il 19 giugno 1951, la «Convenzione» operativa fra gli Stati che la fondarono, con la quale vennero stabiliti concetti, mutualità e procedure per gli interventi.
A un ruolo più ampio della Nato, Giorgia Meloni sta guardando con attenzione e sta contribuendo con convinzione, proprio perché Nato significa Occidente, e se l’Occidente, pur con tutti i suoi aspetti interni negativi (non posso qui elencarli, ma mi riferisco a derive anti-nazione e anti-tradizione che si osservano nei vari movimenti progressisti e globalisti, dalla cancel culture alle teorie gender), è e resta il nostro unico orizzonte in cui possiamo liberamente testimoniare la nostra appartenenza politica e potenzialmente vincere le sfide elettorali, allora la Nato è uno strumento decisivo per la difesa e il rafforzamento dell’Occidente (all’interno del quale poi la libera dialettica democratica ci permetterà di affermare e far prevalere la nostra posizione politica, la nostra visione della società). E poiché, come si vede nella crisi Ucraina, la Nato è braccio operativo privilegiato dell’Europa, ampliarne ruolo e perimetro significa rafforzare l’Europa. Inoltre, poiché l’Europa non è solo e non è tanto l’Unione europea quanto piuttosto i suoi popoli e le sue nazioni, potenziare la Nato significa sia accrescere la sicurezza e la libertà dei cittadini europei, sia proteggere i loro concreti interessi quotidiani: non c’è crescita senza pace, non c’è pace senza sicurezza, non c’è sicurezza senza difesa, né difesa senza armamenti.
Come spiegava la manifestazione «Atreju» del 2018 (targata Fratelli d’Italia su copyright Giorgia Meloni), a un’Europa tecnocratica ed elitaria si contrappone, non solo nelle idee ma anche nella realtà storica stessa, un’Europa nazionale e popolare, e tuttavia questa contrapposizione è interna al continente, e ad essa va, nell’emergenza, anteposta un’istanza unitaria che, appunto, nel caso della guerra in Ucraina e della crescita esponenziale della minaccia russa o neo-sovietica occorre praticare con la massima determinazione e lealtà.
Questo è dunque l’orientamento strategico della presidente Meloni, che allinea più saldamente l’Italia agli Stati Uniti e all’Occidente, senza con ciò rinunciare a perseguire i nostri interessi nazionali. E poiché fra gli interessi della nazione, accanto a quelli cruciali di carattere prevalentemente economico vi è anche quello spirituale che, con un termine desueto ma sempre pregnante, definiamo onore (e che con terminologia attuale di derivazione anglosassone diremmo «reputazione») occorre affrontare i vari scenari geopolitici tenendolo sempre in massima considerazione, perché la forza della nazione si misura anche in base ad esso. E poiché l’onore consiste anche nella coerenza, che Giorgia Meloni ha sempre praticato e dimostrato in modo oggettivo, facendone il suo personale sigillo politico, possiamo dire che la parola onore le è connaturata.
Su queste premesse, teoriche e concrete, la geopolitica della presidente del Consiglio può svilupparsi secondo un interesse composito, in cui i fattori economici si intrecciano e si armonizzano con quelli storici, sociali, culturali ed etici (l’onore è infatti un concetto della morale prima di essere una modalità della prassi), dimostrando che atlantismo e sovranismo possono perfettamente coesistere: Nato e nazione sono un binomio che può diventare un’endiadi; l’una a completamento dell’altra.
L’importanza di una Nato forte ha anche implicazioni positive extraeuropee, non solo perché l’Occidente deve avere strumenti sempre più potenti per affrontare la minaccia dell’asse Cina-Russia-Iran, di cui stiamo vedendo oggi una prova tecnica nella guerra in Ucraina, dove ciascuno dei tre svolge un diverso ma ben coordinato ruolo (la Russia sul terreno, la Cina nelle cancellerie, l’Iran a supporto di attrezzature), ma pure perché un grosso impegno degli Stati Uniti nella Nato servirebbe anche a evitare quella pericoloso tendenza isolazionistica che serpeggia con sempre maggiore insistenza a livello politico nel partito Repubblicano e a livello d’opinione fra i conservatori. Donald Trump aveva ragione quando, all’inizio del suo mandato, chiedeva che anche gli altri Paesi pagassero le loro quote nel club Nato, ma sbaglia quando afferma di voler ridurre l’impegno americano sugli scenari globali e su quelli di frizione bellica in particolare. Questa eventualità isolazionista soddisferebbe momentaneamente i desideri di una parte dei conservatori americani, ma già sul medio periodo produrrebbe danni enormi non solo all’Europa, priva di quell’appoggio americano che la storia ha dimostrato essere fondamentale, ma pure agli stessi Stati Uniti: l’entropia, una volta avviata, è impossibile o almeno molto difficile da bloccare.
Quindi, il filo che congiunge l’interesse nazionale con l’alleanza transatlantica è una necessità per l’intero Occidente; e l’atlantismo meloniano – che si inserisce nel solco della destra liberale europea e della sua versione italiana che è il liberalconservatorismo – è una delle modalità di quel sovranismo ben temperato che il partito della presidente Meloni ha sempre sostenuto e che oggi rappresenta il piano, politicamente dialettico, su cui salvare l’idea di nazione rafforzando la collaborazione internazionale occidentale.
Parallelamente e con lo stesso spirito, in questo caso in veste di presidente dei Conservatori e Riformisti Europei, Giorgia Meloni sta agendo sul terreno politico istituzionale, progettando un’alleanza con il Partito Popolare Europeo che dovrebbe portare, dopo tre legislature a maggioranza popolar-socialista, l’assetto di governo dell’Unione europea a centrodestra. E, come per l’atlantismo, anche su questo tavolo tutto europeo si possono tenere insieme le istanze del sovranismo (quello intelligente, non dogmatico né, tanto meno, nazionalista) e dell’europeismo (quello autentico, però; quello dei popoli e delle nazioni, non degli apparati tecnoburocratici). Sarà una battaglia difficile, ma non impossibile da vincere, perché la storia lancia segnali che anche gli amici del Ppe possono vedere, e che appunto Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia hanno tempestivamente colto.
di Renato Cristin