L’umanità di Silvio

lunedì 12 giugno 2023


Piangemmo a lungo, abbracciati l’uno all’altro, quando Marinella ci annunciò la morte di Bettino Craxi.

Compresi, allora, che, al di là dei pettegolezzi degli avversari, non era solo interesse, ma soprattutto amicizia.

Ora, mi tocca piangere da solo.

Divenni amico e collaboratore di Berlusconi attraverso Craxi, nel 1995, ma gli ero già grato per averci risvegliati e liberati dall’incubo della “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto.

Feci qualcosa per lui: nel 1996, pubblicai “La strategia del ragno”, un saggio che disvelava la faccia sporca dissimulata del manipulitismo. E lui mi diede la possibilità di pubblicare con Mondadori.

Feci ancora di più nel 1997, quando, su consiglio di Craxi, mi dedicai a scrivere “Attentato al Governo Berlusconi/art. 289 c.p.”, un testo che fece capire agli italiani che nei confronti di Berlusconi s’era scatenata una caccia alle streghe giudiziaria full time.

Dopo Craxi e il Psi, la lunga marcia dei comunisti verso Palazzo Chigi, adesso, passava attraverso l’eliminazione di Berlusconi e Forza Italia per via giudiziaria.

Gran parte del merito, però, dell’effetto nell’opinione pubblica, non più totalmente in ginocchio davanti alle logiche manettare, fu del geniale Giuliano Ferrara, il quale, all’epoca direttore di Panorama, volle allegare il mio saggio al rotocalco, diffondendolo, così, a tappeto: quasi mezzo milioni di copie. La qualcosa significò che milioni di italiani lessero la verità sull’uso politico della giustizia.

Ovviamente ne pagai le conseguenze, dovendo passare molti anni nelle aule di tribunale, per difendermi dalle querele multiple da parte del pool di Mani pulite. All’epoca, criticare quei magistrati era peggio di uno schiaffo alla Madonna, tant’è che divenni, di nome e di fatto, un pericoloso pregiudicato.

Da lì, però, si rinsaldò l’amicizia, culminata con la volontà di Berlusconi di farmi eleggere a Montecitorio nelle fila del Pdl per la circoscrizione di Campania 2. Io avrei preferito l’Umbria o il Lazio, ma il profetico Silvio, come sempre, ebbe ragione. La Campania era la mia terra. Scoprii, infatti, che un mio antenato era stato l’ebanista di Vanvitelli e che tutti mobili e le parti in legno della Reggia di Caserta furono opera di quell’artigiano ebreo. Non solo, sempre grazie a Berlusconi, ebbi modo di visitare le tombe di altri antenati – il virile falegname lasciò figli dovunque – sparpagliate in tutta la provincia di Caserta, da Marcianise a Sessa Aurunca.

No, non sono egotico. Se ho parlato di me rispetto a Silvio, la ragione sta nel fatto che la sua dote più grande fu l’amicizia affettuosa e fraterna. E quel sentimento si manifestava in maniera così aperta, sorridente e calda, che non si poteva non ricambiare di tutto cuore.

Per questo, quando Putin mi chiese – anzi, mi intimò – di scrivere una biografia in russo di Berlusconi, misi da parte ogni altro impegno, per dedicarmi giorno e notte all’impresa. Putin intendeva fargli un regalo da grande, vero amico: la prima biografia del presidente italiano edita nella Federazione russa. Putin e Berlusconi sono stati amici sinceri – ne sono stato testimone diretto – tant’è che anche dopo l’invasione dell’Ucraina e l’universale demonizzazione di zar Vladimir, il solo che non s’è unito al dileggio è stato Silvio, sempre fedele al vincolo amicale, correndo consapevolmente il rischio di essere criminalizzato come sodale del Nemico.

Ebbene, una maniera degna per ricordare la grande umanità di Silvio potrebbe essere il rileggere assorti “Laelius seu De amicitia”.


di Giancarlo Lehner