sabato 13 maggio 2023
Sulla vicenda dei reiterati attacchi all’Italia da parte di esponenti politici e governativi francesi di fede macroniana, può darsi che abbia ragione Giorgia Meloni. Il nostro premier, per rintuzzarli, ha scelto di entrare in modalità zen, cioè di mostrare una calma olimpica a fronte dei comportamenti sguaiati dei cugini d’Oltralpe. Da Praga, dov’è stata in visita all’omologo Petr Fiala, Giorgia Meloni ha ribattuto alle accuse al veleno sull’accoglienza degli immigrati illegali rivoltele da Stéphane Séjourné, portavoce di Renaissance – il partito di Emmanuel Macron – limitandosi a esporre una fotografia veritiera dello stato dei rapporti tra la presidenza e il Governo francesi e la propria opinione pubblica.
“Utilizzare la politica degli altri governi per regolare i conti interni non è l’ideale dal punto di vista della politica e del galateo. Evidentemente, c’è qualche problema che il Governo francese deve risolvere, ma non credo che sia un problema che hanno con noi. Evidentemente c’è qualche problema di tenuta del consenso che bisogna affrontare”, queste le sue parole. Come a significare: se hanno difficoltà a rapportarsi a noi il problema è loro, non nostro. Il premier italiano fa il suo mestiere ed è comprensibile la scelta di assumere la parte in commedia del pompiere invece che quella dell’incendiario.
A noi, però, non basta fare spallucce agli attacchi scomposti provenienti da un Governo di una nazione che solo nel libro dei sogni ci è sinceramente amica. Per non dire del fatto che, per secoli, la Francia ha fatto dell’Italia il luogo di regolamento dei propri conti con gli altri Stati europei. Dietro gli insulti si nascondono molte più cose di quanto si possa immaginare. Sosteniamo da tempo – felici che anche qualche autorevole commentatore nostrano cominci ad accorgersene – che la posizione in Europa di Giorgia Meloni da leader dei conservatori continentali la collochi, naturaliter, in prima posizione in vista della costruzione nell’Unione europea di una maggioranza di centrodestra sostenuta dal Partito Popolare europeo (Ppe) e dal Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr). Un tale scenario preoccupa il presidente francese, il quale non fa mistero di mirare a un ruolo da protagonista nell’ambito Ue quando, tra qualche anno, scadrà il suo mandato presidenziale.
È però ugualmente vero che l’astio riservato da Emmanuel Macron alla nostra Giorgia Meloni si giustifichi con la paura di cui è preda l’inquilino dell’Eliseo per un possibile effetto-domino in Francia dello scenario italiano. Al riguardo, il fatto che la Meloni abbia dimostrato che si può essere convintamente sovranisti e, allo stesso tempo, mostrare saggezza e pragmatismo nell’azione di Governo, finisce col provocare la frantumazione di un tabù finora inviolato della politica francese: la destra lepenista alla guida della nazione. Ma c’è dell’altro, di più profondo, per spiegare ciò che sta accadendo tra Francia e Italia. Per capirci di più, bisogna andare a ripescare, come suggerisce Lucio Caracciolo, un saggio di Alexandre Kojève, filosofo francese di origini russe, dal titolo “L’impero latino”. L’opera risale al 1947, ciononostante la sua attualità è sorprendente. L’autore ha previsto che la Germania, nel volgere di pochi anni, si sarebbe risollevata dai disastri della Seconda guerra mondiale e sarebbe divenuta la principale potenza economica europea. Nella lotta per l’egemonia sulla scena continentale la Francia sarebbe inevitabilmente regredita al livello di potenza secondaria. In un futuro di disgregazione degli Stati-nazione, Kojève pronostica l’affermazione di strutture di potere transnazionali, alle quali attribuisce la dignità di “imperi”. Dovendo individuare un comune denominatore per consolidare la nuova costruzione super-statuale, Kojève punta sulla parentela culturale, linguistica, di stili di vita e religiosa. Su questa premessa, per Kojève, la Francia avrebbe dovuto porsi alla testa di un impero latino, estendendo la sua sfera d’influenza all’Italia e alla Spagna. Come la Germania avrebbe fatto con gli Stati dell’Europa settentrionale.
Kojève propose la sua teoria a Charles de Gaulle perché la convertisse in programma politico. Ma i tempi non erano maturi per un progetto neoimperialista. E non lo sono stati neanche successivamente all’uscita di scena del generale de Gaulle, almeno non fino all’arrivo all’Eliseo di Emmanuel Macron. Rispetto ai suoi predecessori, che si limitavano alla postura arrogante nei rapporti con l’Italia, Macron ha cambiato paradigma, contando di trovare nella sinistra italiana un interlocutore piuttosto remissivo e arrendevole. Ciò gli ha consentito di immaginare un futuro nel quale l’Italia avrebbe svolto una funzione ancillare rispetto all’azione egemonica della nazione “sorella maggiore”. Non è un caso, ad esempio, che il Trattato di cooperazione bilaterale rafforzata tra Francia e Italia del 2021, più noto come Trattato del Quirinale, stipulato sulla falsariga di quello tra Francia e Germania Ovest del 1963, sia stato maggiormente voluto da parte francese che non dalla controparte italiana.
Ma, com’è noto, il diavolo fa le pentole e non i coperchi. Emmanuel Macron a Giorgia Meloni non l’ha vista arrivare. Se la vittoria del centrodestra poteva essere prevista, non era nei pronostici l’affermazione con così largo consenso della leader di Fratelli d’Italia. Per quanto la vittoria di Matteo Salvini non sarebbe stata ugualmente gradita all’Eliseo, questa tuttavia non avrebbe avuto il medesimo impatto che avuto il successo di Giorgia Meloni. Macron, al tempo del Governo Conte I, aveva preso le misure al capo leghista per cui avrebbe saputo come isolarlo in sede europea, rendendolo inoffensivo. Mai si sarebbe aspettato di dover competere con una donna che non si fa chiudere nell’angolo dagli avversari. In pochi mesi, il Governo Meloni ha cominciato con pazienza a ritessere la tela dei rapporti internazionali dell’Italia nel quadrante mediterraneo-africano, dal quale era stata espunta a causa della politica di fuga dalle responsabilità internazionali perseguita dai Governi Conte I e Conte bis, e solo di poco corretta dal Governo di Mario Draghi.
Con Meloni è stato riaperto il dossier libico; sono stati ricuciti i rapporti con l’Egitto dopo le frizioni per il caso “Giulio Regeni”; è stato rafforzato il rapporto con l’Algeria ed è stato tentato un approccio proattivo all’intricata crisi tunisina. Questo per stare al Nordafrica. Ma nel mirino dell’offensiva diplomatica italiana ci sono anche il Mali, i Paesi del Centro Africa e quelli del Corno d’Africa. La Meloni è salita sul collaudato veicolo per le relazioni internazionali che si chiama Eni e sta portando avanti la sua personale strategia di riconquista di un ruolo d’influenza per il nostro Paese. È la sostanza del progetto titolato “Piano Mattei”. Peccato che il terreno di sviluppo dell’iniziativa italiana in Africa corrisponda quasi totalmente a quello che un tempo è stato il territorio d’espansione dell’impero coloniale francese. Ecco, dunque, il coperchio imprevisto che rovescia la pentola tanto accuratamente confezionata dal diavoletto dell’Eliseo. Ragione per la quale d’ora in poi sarà pressoché inutile intestardirsi nella ricerca di motivazioni razionali alle reazioni sguaiate dei rappresentanti del Governo d’Oltralpe all’indirizzo di Palazzo Chigi e dintorni. Un pretesto per offendere Parigi lo avrà sempre. Per spiegare la rabbia francese di questi giorni non è necessario scomodare Antonio Gramsci e la sua concettualizzazione della nozione di “egemonia”. Basta rispolverare per l’occasione l’immortale favola del lupo e dell’agnello del saggio Fedro per comprendere ogni cosa del comportamento dell’entourage di Emmanuel Macron nei riguardi di Giorgia Meloni. Per quanto il nostro premier faccia di tutto per restare lontana dal predatore transalpino, vi sarà a Parigi sempre qualcuno pronto a giurare che fu lei in persona, Giorgia Meloni, a recare offesa al bisnonno di Emmanuel Macron. Abituiamoci a questo standard nelle relazioni italo-francesi. Le interazioni economiche tra i due sistemi produttivi proseguiranno, come continueranno i tentativi francesi di tirare un calcio negli stinchi al nostro premier. Sarà così almeno fino alle Europee del 2024, quando i rapporti di forza tra destra e sinistra continentali potranno essere rovesciati. Se accadrà, c’è da scommettere che con Parigi s’intonerà tutta un’altra musica. E non sarà la Marsigliese.
di Cristofaro Sola