lunedì 8 maggio 2023
Dopo questa due giorni milanese griffata Forza Italia - e con Antonio Tajani nelle vesti, a lui congeniali, di gran cerimoniere – qualcuno dovrebbe, se non altro, riprendere in mano un buon compendio che tratti di chimica. Magari puntando l’indice sul capitolo dove viene rievocata la figura del premio Nobel Giulio Natta e, in modo particolare, la sua scoperta scientifica più importante: il polipropilene isotattico. Il tutto, almeno, per capire come mai un partito definito di “plastica” dai suoi antagonisti riesca a durare così a lungo e, ancor di più, presenti una duttilità tale da averlo reso pressoché indenne alle varie stagioni della storia patria e internazionale che ha attraversato.
Silvio Berlusconi è tornato per parlare di sé, del suo vissuto intimo e passionale, a metà tra la storia e la leggenda, ma anche per lasciare, qua e là durante il suo intervento, schizzi di futuro. Con una energia, con una tenacia e con la consueta capacità visionaria di chi, in cuor suo, vorrebbe fortemente che la sua creatura politica riesca, in un giorno lontanissimo, a sopravvivere al fondatore, oltre che deus ex machina (elettorale). E affinché la continuità partitica possa giovarsi ancora a lungo di un proprio battere e levare, il leader, in maniera quasi maniacale, tende a ricordare qual è e in cosa consista il cordone ombelicale che lega Forza Italia al suo mito originario, ovverosia l’architrave concettuale – anzi, oserei dire quasi ontologico – su cui poggia l’intera impalcatura forzista: la libertà, qui intesa proprio come una sorta di religione laica, prendendo in prestito una felice suggestione crociana.
Una confessione dotata di un proprio rosario in cui ogni grano è una promessa di giustizia e di equità, di sacralità individuale e di diritti rigorosamente naturali. Fateci caso. Da tempo la parola “moderato” viene pronunciata con maggiore parsimonia su queste latitudini politiche, a vantaggio di una grammatica decisamente più pregnante in un’ottica di recupero identitario. Il Cav ama snocciolare appellativi quale liberale, garantista, cristiano, europeista e atlantista al fine di descrivere il carattere essenziale dell’ideal-tipo forzista. Proprio perché sono questi, pocanzi menzionati, degli ideali paletti capaci di riperimetrare il proprio campo da gioco, i punti cardine del proprio stare al mondo. Il chi siamo nella sua forma essenziale.
E a dispetto del trentennio soffiato via da quella discesa in campo, a Milano traspirava una gran voglia di ascoltare quel verbo proferito da una voce stanca eppure ancora indomita. Cibi condimentum est fames: la fame è il condimento del cibo, saggiamente ripetevano gli antichi. E in questa convention di appagamento non se ne è ravvisato, tutt’altro. Da parte dei ragazzi – tanti – e degli apicali: ministri, parlamentari, eletti e semplici militanti facenti però parte integrante dell’ossatura del partito. Ecco, pian piano che ascolti Berlusconi riecheggia quel formidabile incipit che diede il via a una narrazione che necessita ancora di pagine bianche per essere completata. E ti rendi conto di come il moderatismo non faccia più rima – sempre che l’abbia mai fatto – con il forzismo. Piuttosto, appare sempre più come la sua nemesi. Insomma, è una forzatura, perfino un ossimoro. D’altronde, non si può essere moderati quando il proprio leader scese in campo seguendo il sogno di una rivoluzione democratica, finalizzata a invertire quel paradigma statalista che per tanto, troppo, tempo ha alimentato una dinamica assistenzialista fautrice, a sua volta, di una politica redistributrice esiziale per la crescita economica del Paese, fallace per il riscatto sociale dei meno abbienti ma decisamente fruttuosa per annichilire la voglia di fare, creare e produrre da parte di quella ampia fetta della società potenzialmente disposta a rischiare.
Non a caso, è stata scelta Milano per l’organizzazione della kermesse. Sì, è vero, pure per una prossimità fisica con il San Raffaele, anche perché è qui che sono avvenute le più belle storie di un miracolo italiano e ancor prima lombardo: Milano 2, Milano 3, Mediaset, Milan. Ma, soprattutto, per il fatto che la città meneghina rappresenta quella vivacità di agire che ha contraddistinto l’elettorato di riferimento del forzismo d’antan: imprenditori, commercianti, industriali, liberi professionisti, artigiani e tutte quelle gemme sociali capaci di innescare un’entropia positiva, frizzante, costruttrice e, va da sé, necessaria per la creazione di benessere e ricchezza.
L’homo faber, l’uomo artefice, nasce da una tale contaminazione culturale. Nasce, d’altro canto, da quella lucida follia, teorizzata da Erasmo da Rotterdam, che Berlusconi ha voluto tramutare nella propria bussola esistenziale. E fu proprio per questo che decise di fondare Forza Italia; e fu proprio per questo che si circondò di storici, filosofi, economisti, scienziati e, più in generale, di intellettuali veri, vogliosi di sporcarsi le mani con la realtà fattuale; e fu proprio per questo che riuscì a confezionare uno spazio nel quale far confluire quelle che, all’epoca, venivano considerate alla stregua di eresie: il liberalismo classico, il popolarismo sturziano e il riformismo laico di matrice rosselliana. Un impasto ben riuscito, ha ribadito oggi il Cav, fondamentale per gettare le basi di una ben precisa missione politica, cioè quella di creare le condizioni sociali, politiche ed economiche grazie alle quali ogni singola persona si sentisse tentata di tratteggiare il proprio futuro e quello dei propri figli secondo i propri desideri, secondo la propria fede, e seguendo quei sogni capi di qualificare il proprio immaginario. Futuro.
Ecco che ritorna il richiamo al domani. Senza però dimenticare, per un singolo istante, lo “strano percorso” seguito per arrivare fin qui. Magari il Cav predilige un altro pantheon, ciononostante credo che non disprezzerebbe quel grande conservatore che fu Edmund Burke, specialmente quando sosteneva: “Ciò che è incapace di cambiare è incapace pure di conservarsi”. Forza Italia sarà pure un partito di plastica, d’accordo, ma da Milano è stato ricordato di che plastica è fatto.
di Luca Proietti Scorsoni