martedì 2 maggio 2023
Oggi sembra d’essere tornati allo spirito che nel 1200 diede luogo alla Santa Inquisizione. Questa volta non è santa bensì laica: condanna ogni sussurro riprovevole nel criticare la nuova via della libertà morale e sessuale che non accetta contestazioni. Si viene così verbalmente puniti a una sorta di eresia da un tribunale popolare a cui si accodano molti per paura, per raccogliere il consenso, per fare audience anche se poi sono contrari.
La Santa Inquisizione venne stabilita nel Concilio presieduto da Papa Lucio III e dall’imperatore Federico Barbarossa nel 1184. Nel tempo si rafforzò, arrivando a vere e proprie condanne di morte e alla tortura. In particolare, per la crudezza dei comportamenti si distinse l’Inquisizione spagnola, istituita nel 1478 su richiesta dei sovrani Ferdinando e Isabella.
La santa Inquisizione pose particolare attenzione a tutte le possibili forme di eresie (o quelle ritenute tali). Tra i giudici si distinsero Bernardo Gui, ricordato nel film “Il nome della Rosa” e il cardinale Roberto Bellarmino, che condannò Giordano Bruno nel 1599 e Galileo Galilei nel 1616.
Gli inquisitori procedevano contro gli eretici, i sospetti di una falsa credenza, i malefici e i sortilegi, i maghi, le streghe. Spesso queste persone erano condannate al fuoco senza possibilità di discolpa, con una cultura manichea in cui il bene stava da una parte e il male dall’altra. Oggi sembra ripresentarsi una sorta di Inquisizione laica, che trova ispirazione dal frantumarsi di una morale incapace di definire i limiti delle libertà di ciascuno di fare, criticare o esprimere il proprio dissenso.
Lo sviluppo di una coscienza che tutto ammette e tutto vuole ma non accetta la minima osservazione che possa esprimere un giudizio personale che come tale viene bollato eretico, è il frutto di un sistema socio-culturale collassato, che trova nell’Occidente la sua più piena applicazione. La crescita di un modello di pensiero legato alla tecnica, vista come verità assoluta, ha contribuito alla desacralizzazione del mondo e le chiese, spesso vuote, ne sono l’esempio più immediato. La religione viene cacciata da un mondo che non riconosce più una dimensione atemporale e divina.
La mancanza di un legame a una morale che unisce e non divide favorisce la guerra di tutti contro tutti. Con l’acceso attacco a chi mostra di avere qualche dubbio e perplessità su una liceità di costumi morali e comportamenti sessuali che non ha più nessun limite morale condiviso, ma solo un’arroganza di perseguire una libertà di scelta infinita e non soggetta a giudizio.
Si perde l’identità in nome della volontà, del desiderio, del capriccio che travolgono la relazione con la natura che va modificata ad usum delphini perché la natura sbaglia, è imperfetta, va trasformata – poiché superata dal desiderio e dalla volontà alleata – con la tecnica per una nuova morale imposta. È invertita ma sempre è una morale accettata e voluta dall’opinionismo di un puro interesse di potere e dominio. La divisione e la messa in discussione dei principi fondamentali di socialità creano una dissoluzione dei sistemi sociali che ne vengono frantumati, privi di difese ed esposti a diktat superiori.
Così i vari movimenti che cercano la libertà in una confusa antropologia sessuale laica affermano non solo i loro diritti in modo arrogante e pretestuoso senza una minima accettazione della libertà altrui che viene considerata eresia, e quindi da condannare, ma pretendono di imporre le loro verità. Così, di fronte ai grandi problemi del nostro tempo, ci troviamo a discutere di deviazioni sessuali e di comportamenti illogici, quando sia si condanna (per pornografia) una professoressa che mostra il Davide di Michelangelo, sia un’altra docente che ha dato il buongiorno alle ragazze della sua classe, ledendo lo spirito di qualcuna di esse che non si considera “ragazza” ma “ragazzo”. Siamo fuori da una logica del confronto, siamo davanti a un’imposizione violenta e irrispettosa.
Si sono creati gruppi di potere che impongono la loro diversità con una violenza rabbiosa, che esclude ogni forma di ragionevole confronto. A fronte di queste enclave irrituali, gli osservatori esterni sono intimiditi. Così una politica debole e bisognosa di consenso si adegua per opportunismo. Gli interessi economici che seguono l’indicazione data dalle diversità ben si adattano a seguirle, per paura di perdere i consumatori.
Va accettata la libertà di pensiero e di azione come occasione di confronto, perché nessuno può ergersi a portatore della verità assoluta. Ma in questo confronto, così come è posto, esiste una sola verità da non discutere. Si cade nella violenza verbale e fisica di troppi che hanno perso il senso di un limite morale, che favorisca la convivenza e non uccida il senso sociale, che ci fa stare uniti ma che crea la desertificazione morale e un insanabile clima conflittuale.
(*) Professore emerito – Università Bocconi
di Fabrizio Pezzani (*)