sabato 29 aprile 2023
Quando, nel 2017, il regista Ambrogio Crespi firmò l’unico docufilm (qui la versione integrale) prodotto sulla vicenda giudiziaria che ha coinvolto il Generale Mario Mori, era uno di quelli certi della sua estraneità ai fatti contenuti nel “teorema” che ha sorretto, per anni, l’accusa nel processo “Stato-mafia”.
Rimarrà storica la data del 27 aprile 2023, perché il pronunciamento della suprema Corte di Cassazione chiude un periodo lungo di accuse a uomini dello Stato che hanno combattuto (e sconfitto) la mafia e che sono stato additati come autori di una fantomatica “trattativa”. L’accusa sosteneva che, a margine delle stragi del 1992, in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uomini del Ros dei Carabinieri, allora guidati dal Generale Mori, avrebbero “avvicinato” esponenti mafiosi tentando una “mediazione”, appunto, tra Stato e mafia.
Non solo il pronunciamento della suprema Corte chiude un capitolo di illazioni, ipotesi, teoremi e veleni ma restituisce, anche, completa dignità agli uomini che arrestarono Totò Riina, che sono stati l’avanguardia di una lotta contro la mafia non scenografica ma di trincea; la sentenza, in sostanza, riformula l’accusa da “trattativa” a “tentativo” (quindi non concretizzatosi) andato in prescrizione. Le assoluzioni hanno riguardato anche il Colonnello Giuseppe De Donno ed il Generale Antonio Subranni.
Oggi l’Italia si riappropria della verità, scomoda a chi ha fondato corti giustizialiste mediatiche, figure che hanno tentato di trasformare l’avanguardia della lotta alla mafia dello Stato in esecutori di una “trattativa” che non trovava riscontri, che non aveva elementi certi, posizioni che hanno tentato di togliere dignità a chi la mafia l’ha sconfitta e battuta.
A difesa della memoria storica giova ricordare, ripercorrendo una delle tante testimonianze della figlia di Paolo Borsellino, Fiammetta, che disse: “Mio padre si fidava solo degli uomini del Ros del Generale Mario Mori”.
È proprio Paolo Borsellino la chiave per capire come gli uomini del Ros furono fondamentali per fronteggiare la mafia e quel livello, terzo, per il quale il giudice fu ucciso.
Proprio Ambrogio Crespi ha rilasciato alcune dichiarazioni sulla chiusura della vicenda giudiziaria: “Spiegherò ai miei figli che la giustizia giusta esiste”. Lui, il regista della lotta a tutte le mafie, un italiano perbene, anch’esso vittima di un delirio giudiziario, ci lascia il messaggio di speranza più bello, forte e intenso: nonostante gli errori giudiziari non bisogna smettere di credere nella giustizia e continuare a combattere la mafia e le sue collusioni politiche e istituzionali. E, siamo certi, oggi, il Generale Mori avrà, tra gli altri, un pensiero per il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
di Alessandro Cucciolla