Giovanni Paolo II, vittima dell’odio progressista

sabato 15 aprile 2023


Da alcuni mesi, l’immagine e la memoria di Giovanni Paolo II sono aggredite, proprio in Polonia, nella terra a lui massimamente devota, da un’ondata diffamatoria inedita per un Papa universalmente molto amato. Lo sfregio alla sua statua dinanzi alla cattedrale di Łódź è solo il più grossolano di una serie di attacchi che vanno ben al di là dell’ingiuria e che si configurano come un tentativo di insozzarne la figura umana e religiosa. Dinanzi a questa azione così pesante e sorprendente, occorre porsi tre domande fondamentali: qual è la causa? Chi ha ordito e osato un’azione così vile e proditoria? E perché?

La causa, o per meglio dire il pretesto per sferrare questo assalto è apparentemente casuale e asseritamente oggettivo: la pubblicazione in polacco, il 3 marzo, di un libro del giornalista olandese Ekke Overbeek (Maxima culpa. Giovanni Paolo II sapeva), nel quale, sulla base di documenti dei servizi segreti del regime comunista, si sostiene che nei primi anni Settanta l’allora cardinale di Cracovia, Karol Wojtyła, avrebbe coperto casi di sacerdoti pedofili. Cosa c’è di strano, si dirà: esce un libro-inchiesta, i media ne parlano, la politica interviene, la società discute. Anche se colpisce la persona più importante della storia polacca dell’ultimo mezzo secolo, la principale figura di riferimento della Polonia attuale, una delle maggiori personalità morali e, in senso ampio, politiche del secondo Novecento, uno dei più illustri Papi della storia, non importa; l’importante è l’affermazione della verità. Già, appunto, ma quale verità?

Il racconto del giornalista olandese, noto per la sua ostilità verso la Chiesa e più in generale il cattolicesimo, presenta uno scenario in cui il cardinale Wojtyła sarebbe reticente dinanzi alle accuse di pedofilia che da più parti fioccano contro alcuni preti della sua diocesi, che egli – secondo la prassi canonica – trasferisce, senza però punirli, come la legge civile e la morale esigerebbero. In sostanza, si dice: il cardinale di Cracovia, prima della sua elezione a papa nel 1978, sapeva dei casi di pedofilia da parte dei preti della sua diocesi, e ha reagito, sì, in conformità al Codice canonico allora in vigore, ma li avrebbe coperti affinché non arrivassero a conoscenza del regime, e non avrebbe offerto assistenza alle vittime. Al di là dell’assurdità dell’imputazione, si tratta di accuse pesanti, che proprio perciò esigono prove indiscutibili. Ma su quali fonti si basa questa ricostruzione? Nella quasi totalità, si tratta di rapporti dei servizi segreti dell’epoca, la cui affidabilità è – oggettivamente – pari a zero, poiché il loro primo (e unico) intento era la manipolazione delle informazioni finalizzata al lavaggio del cervello ovvero all’uniformazione dell’opinione pubblica. Come possono, dunque, documenti prodotti sotto il segno della disinformazione di stampo sovietico essere affidabili?

E quindi, chi può dare credito a una denuncia basata sulle menzogne documentali che, è arcinoto, l’apparato spionistico del blocco di Varsavia diffondeva in quantità industriale sia all’esterno sia all’interno della cortina di ferro? Se i media hanno ritenuto credibile il dossier dei servizi, sono semplicemente ingenui, ma se, come più probabile, hanno visto in quelle carte un’occasione per un attacco politico, allora sono squallidamente scaltri e politicamente corrotti. E viene da propendere per questa seconda ipotesi.

Gazeta Wyborcza, il quotidiano che ha pubblicato l’anticipazione e reclamizzato il libro è diretto da un intellettuale, Adam Michnik, che si era battuto contro il regime comunista, che è stato deputato per un partito di sinistra, e che è un avversario dell’attuale governo conservatore, il governo più genuinamente anticomunista che la Polonia abbia mai avuto. Accanto a questo organo della sinistra progressista, si sono poi distinti per aggressività e livore altri media (soprattutto radiotelevisivi), tutti rigorosamente anti-governativi, sedicenti liberali, attivamente impegnati nel diffondere il manuale politicamente corretto della sinistra globale.

Ora, poiché, come è noto, un attacco politico risulta tanto più efficace quanto più alto è il bersaglio; e poiché Giovanni Paolo II è il principale punto di riferimento morale (oltre che religioso) dei conservatori polacchi (come pure di tutti i liberalconservatori occidentali), un attacco a papa Wojtyła può essere il migliore veicolo per aggredire la maggioranza di governo e, nello specifico, il partito di Jarosław Kaczyński e Mateusz Morawiecki. Da qui si vede immediatamente che tutto il dispositivo pseudo-investigativo e denigratorio è utile a colpire due obiettivi in un colpo solo: il governo e la memoria del papa.

Così, si vede che dietro alla supposta oggettività giornalistica c’è una rete di forti interessi ideologici e politici, che si coagulano in un’aggressione da cui traggono vantaggio non soltanto gli avversari politici del governo di Morawiecki, bensì anche i movimenti progressisti occidentali e, con una gittata duplice, pure la Russia neosovietica, che ha dichiarato guerra all’Ucraina e che ha nella Polonia il suo più fiero avversario. La doppia traiettoria di questo tornaconto russo consiste, da un lato, nel danno che la diffamazione di Giovanni Paolo II produce a un governo che si oppone, anche con forti investimenti militari, all’espansione russa in Europa, e dall’altro nel poter colpire uno dei più luminosi alfieri dell’anticomunismo e della lotta al totalitarismo sovietico.

Dunque, e arriviamo alla terza domanda, perché il papa è anche oggetto diretto di quella intenzione politico-diffamatoria? A leggere attentamente l’annacquata difesa d’ufficio di Giovanni Paolo II espressa da Adam Michnik, si scopre tutta l’infingardaggine che regge questa operazione: «la Polonia – scrive Michnik – deve troppo a Wojtyła e non si può ridurre il suo pontificato solo alla questione della pedofilia. Non credo che coprisse in modo consapevole questi crimini». Intenzione larvata, retorica palese: affermare che l’allora cardinale non avesse coperto consapevolmente i reati di pedofilia significa che li ha comunque coperti, e menzionare il pontificato in relazione ai casi di pedofilia nella Chiesa polacca significa da un lato farla entrare in un ambito, il pontificato appunto, che non ha nulla a che fare con essa, e dall’altro lato osare, anche solo ex-negativo, macchiare uno dei pontificati più lunghi, luminosi e fecondi, con accuse infami e infamanti. Ma l’intellighentzia socialdemocratica polacca non può scendere a questo livello di raffinata rozzezza (l’ossimoro è d’obbligo) se non fosse in gioco qualcosa che la giustifica. Perché questo scaltro impianto mediatico, insinuatorio più ancora che accusatorio, insiste sull’ipotesi che il libello di Overbeeck potrebbe incidere negativamente sul culto di San Giovanni Paolo II? Perché è evidente che il bersaglio grosso è proprio quel culto, con tutto ciò che gli sta alle spalle e con tutte le sue implicazioni politiche e culturali.

Piccole, putride ma sintomatiche tracce di questa ventata fangosa che si vuole gettare su Giovanni Paolo II si vedono anche in Italia, dove un programma televisivo di una rete privata lascia filtrare illazioni su una presunta vita notturna di papa Wojtyła. È il vento fetido del politicamente corretto, che trova sempre ampi spazi nei media italiani e che viene alimentato da giornalisti che sotto il manto della libertà di espressione veicolano le peggiori diffamazioni e che, in questo caso, consapevolmente o meno, stanno aprendo la strada a risentimenti politici – della sinistra più truce e al tempo stesso più radical – nei confronti di un pontefice altrimenti inattaccabile. A me sembra, e spero di sbagliarmi, che la partita sia, purtroppo, appena iniziata, e perciò è bene fin d’ora mettere in chiaro gli interessi, tutti loschi e tutti ideologici, retrostanti a queste infami manovre. Se i servizi segreti sovietici non esistono più formalmente, la loro mano fantasmatica continua ad agire per mezzo di epigoni, anche eterogenei, sparpagliati in tutto l’Occidente e particolarmente attivi sul territorio europeo, nella vecchia logica sovietica e in quella attuale di cui la cancel culture è la versione più vistosa. Cancellare Giovanni Paolo II è impossibile, ma infangarlo sì, è possibile.

Così, nell’insieme delle motivazioni, emerge il vero motivo e il vero obiettivo di questo attacco su larga scala a un Pontefice che è stato uno dei maggiori artefici del crollo del blocco comunista, e che nell’immaginario collettivo rappresenta l’idea di un Papa toccato dalla grazia divina in modo assolutamente straordinario. Questo attacco fa certamente parte della più generale aggressione della sinistra culturale e politica alla dimensione del sacro e in particolare della religione cristiana, ma più in basso (in tutti i sensi del termine) si trova uno scopo storico-politico. Giovanni Paolo II aveva perfettamente capito e duramente colpito il nucleo ideologico del sistema comunista, ne aveva evidenziato, ovviamente in modo indiretto, le miserie morali e psicologiche, le nefandezze sociali, le menzogne sistematiche, l’antiumanismo radicale. Se, dunque, agli occhi di tutti il papa polacco è uno dei grandi propulsori di quella caduta dei demoni che è stato il crollo del sistema sovietico, e se agli occhi dei suoi devoti è un benemerito della storia occidentale, per i comunisti, post- o neo- che siano, egli è un nemico, e per i progressisti, cristiani o atei, è l’avversario che ha – sia pure solo per il periodo del suo pontificato – imbrigliato i cattolici di sinistra (i cosiddetti catto-comunisti), devitalizzato la teologia della liberazione, sostenuto un rigore morale assolutamente opposto al progressismo, al marxismo culturale e al libertinismo delle varie gender theories. Per tutti costoro, e in particolar modo per i neocomunisti, la vendetta, a lungo incubata, sarebbe un balsamo atteso da decenni.

A più di trent’anni dal crollo dei regimi comunisti in Europa, i veleni della loro ideologia continuano a spargersi ovunque e a riversarsi, con modi particolarmente sofisticati e perversi, soprattutto in Occidente. L’elenco delle incursioni ideologiche catalogabili sotto l’etichetta delle metamorfosi del comunismo è talmente lungo e vasto che qualsiasi compilazione risulta riduttiva e, quindi, inadeguata rispetto alla, per così dire, qualità dell’aggressione che questa ideologia continua a portare al mondo occidentale. Ma l’esempio attuale, per nefandezza e simbolicità, riassume in sé tutte le modalità di questi attacchi e tutta la tossicità del virus comunista. La profanazione dei monumenti a Giovanni Paolo II, che dopo Łódź si è ripetuta anche in altre città, è l’espressione di un razionale, per quanto brutale, piano di demolizione dell’immagine del grande papa polacco; un progetto che parte da lontano, dall’odio per un pontefice che, dall’alto del soglio di Pietro, ha denunciato in tutto il mondo lo scandalo antropologico che avveniva al di là della cortina di ferro; da un odio che si è rinnovato dopo l’abbattimento del Muro di Berlino, che ha covato sotto quelle macerie e che, nella logica di quella ideologia, doveva tradursi in vendetta.

Ecco: ciò che sta accadendo contro Giovanni Paolo II, il cui epicentro è in Polonia ma che temo si estenderà presto ad altri paesi, è un segno postumo di questo odio e della sete di rivalsa. Non avendo potuto colpirlo a caldo, nonostante l’attentato di cui Agca fu la mano e alcuni servizi dei paesi comunisti furono la mente, tentano di farlo ora: dalla guerra fredda alla vendetta fredda, che avviene nella forma subdola della denigrazione, che trova sciagurati compagni di strada negli ambienti progressisti, e che si fonda sulla disinformazione tanto diffusamente praticata all’epoca sovietica e mai dismessa anche in quella post-sovietica. Per i comunisti, se la contraddizione è il motore della storia, la disinformazione ne è la benzina. E la figura di Giovanni Paolo II ne è la vittima più eccellente possibile. Ma la menzogna, su cui la prassi comunista (come pure progressista) si regge, viene sempre a galla, e la verità delle idee e della storia trova spazio e respiro, purché si lavori per farla prevalere.


di Renato Cristin