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venerdì 14 aprile 2023


Nei giorni scorsi i mezzi di comunicazione hanno dato ampia notizia della visita della Presidente della Repubblica di Cina in Taiwan negli Stati Uniti d’America, con minacciose manovre militari davanti all’isola, da parte dei comunisti cinesi, a scopo intimidatorio. Cose ormai consuete. Invece, hanno quasi passato sotto silenzio la visita dell’ex Presidente della stessa Repubblica di Cina, Ma Ying-jeou, oggi a capo del Kuomintang, alla lettera Partito Nazionalista Cinese, in varie città del Continente cinese, su invito comunista.

Il suo partito fu fondato da Song Jiaoren e Sun Yat-sen all’epoca della Rivoluzione del 1911, col rovesciamento della dinastia Qing. Esso impose la nascita della Repubblica. Sun Yat-Sen ne fu il Presidente provvisorio. Vinse le elezioni, ma con un colpo di Stato prese il potere il generale Yuan Shikai. Sun Yat-sen andò in esilio, tornando nel 1917 e rifondando il Kuomintang.

Dopo il trapasso di Sun Yat-sen, nel 1925, la guida del partito fu presa da Wang Jingwei, della sinistra, e da Hu Hanmin, dell’ala opposta. Ma il personaggio più potente era diventato Chiang Kai-shek, braccio destro di Sun già durante l’esilio. Questi, come comandante dell’Accademia militare di Whampoa, ebbe il controllo dell’esercito. Il 5 giugno 1926, Chiang Kai-shek fu nominato comandante in capo dell’Esercito rivoluzionario nazionale dal Governo nazionalista e divenne la guida del Kuomintang il 6 luglio 1926. Prima della Seconda guerra mondiale nacque la frattura tra la sinistra e la destra del partito.

Nel gennaio del 1927, il capo della sinistra, Wang Jingwei, con l’aiuto dei sovietici, spostò il Governo nazionale a Wuhan. Chiang Kai-shek liberò Nanchino in marzo e concentrò le sue forze nella lotta contro Wang e i suoi alleati del Partito Comunista cinese. Ordinò l’espulsione del Partito Comunista e dei consiglieri militari sovietici. Costrinsero Wang ad arrendersi, ma ciò portò alla guerra civile. Chiang Kai-shek conquistò Pechino, che diventò la Capitale. Il nuovo ordine politico fu avallato dalle principali diplomazie mondiali. La capitale, in seguito, fu spostata a Nanchino.

Con il Governo del Kuomintang seguì un periodo di prosperità. L’aggressione alla Cina dell’Impero Nipponico portò, nel 1937, allo scoppio della Seconda guerra sino-giapponese. I giapponesi occuparono la Manciuria, dove restaurarono l’Impero con lealisti della dinastia Qing. Il Partito Comunista cinese si riorganizzò. Chiang, per essere in grado di fronteggiare i giapponesi, tentò di risolvere il problema dei comunisti, e diede inizio a una nuova campagna contro essi, i quali furono aiutati dai sovietici. La resistenza contro i giapponesi, da parte di nazionalisti e comunisti, continuò. E terminò nel 1945 con la sconfitta dell’Impero Nipponico, che trascinò con sé anche l’Impero della Grande Manciuria. Seguì una guerra civile cinese, che si concluse nel 1949, con l’occupazione della Cina continentale da parte del Partito Comunista cinese, ed il riparare del Kuomintang nell’isola di Formosa, cioè Taiwan. Nello stesso tempo, il Kuomintang governò, unico partito di Stato, guidato da Chiang Kai-shek.

Poi, in seguito a riforme, negli anni Settanta, Ottanta e Novanta del Millenovecento, si aprì a un pluralismo di partiti politici. Trapassato il generalissimo, nel 1975 al Governo andò per un triennio il vice Yen Chia-jin. Chiang Ching-kuo, figlio di Chiang Kai-shek, presiedé il Kuomintang e, nel 1978, unì le due cariche. Anch’egli andò a miglior vita, nel gennaio 1988.

Si scontrarono, allora, all’interno del partito, il vicepresidente della Repubblica, Lee Teng-hui, e il generale Hau Pei-tsun. Al Congresso fu eletto un comitato centrale con 31 membri, 16 dei quali erano nativi taiwanesi, che sostennero Lee Teng-hui. Questi restò, così, anche a capo del partito, fino al 2000. Da quell’anno, per la prima volta il candidato del Kuomintang venne sconfitto dal candidato indipendentista del Partito Progressista Democratico. Adesso, il Kuomintang è il partito più antico nella Repubblica di Cina in Taiwan, detiene la maggioranza dei seggi dopo il Partito Progressista Democratico nello Yuan legislativo, il Parlamento. È considerato un partito conservatore, membro dell’Unione Democratica Internazionale (alla quale appartengono partiti come il Partito Repubblicano degli Stati Uniti o il Partito Popolare spagnolo). L’ex-presidente della Repubblica di Cina, Ma Ying-jeou, il quale adesso ha potuto visitare qualche città nel Continente cinese, è stato il settimo membro del Kuomintang a detenere questa carica. Dopo la sua presidenza, la prospettiva di rovesciare il Governo di Pechino e riprendere il controllo di tutta la Cina venne, nei fatti, superata con un timido riavvicinamento. Il Kuomintang, infondo, sostiene da sempre la unificazione col Continente, accetta il “Principio di una sola Cina”, ma pur sempre considera vi sia soltanto una Cina legittima: la Repubblica di Cina, e non la così detta Repubblica Popolare cinese. Tuttavia, a partire dal 2008, al fine di alleggerire le tensioni con la Repubblica Popolare cinese, il Kuomintang abbraccia la politica dei “tre no” definita da Ma Ying-jeou: no all’unificazione, no all’indipendenza e no all’uso della forza.

A questo punto, il lasciapassare dei comunisti cinesi al capo del Kuomintang per la visita sul Continente, e di certo relativi colloqui, sembra chiara: finire la guerra civile con una sorta di transazione: una Cina, due sistemi, il comunismo ed il nazionalismo del Kuomintang, alla fine, alleati. I comunisti sul Continente, il Kuomintang sull’isola, con una qualche forma di presenza nel Governo nazionale. Però questa, anche se ventilata, è una truffa sul piano pratico. Per informazioni, rivolgersi ai liberaldemocratici di Hong Kong. Del resto, i comunisti cinesi restano marxisti-leninisti. Non, per così dire, marxiani-engelsiani. Se Friedrich Engels ventilò, in alcuni scritti della maturità una possibile gestione socialdemocratica in un sistema rappresentativo parlamentare, Lenin volle la scissione dei bolscevichi dalla socialdemocrazia russa per optare per una presa del potere violenta, con gestione dittatoriale del proletariato.

I comunisti cinesi restano profondamente leninisti, e mirano a una forma d’internazionalismo come affermazione globale della rivoluzione, anche se mascherata. Leggi “vie della seta”, il Bics, Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, eccetera.


di Riccardo Scarpa