Il miraggio dell’equità

giovedì 6 aprile 2023


Il salario minimo sarebbe un prezzo del lavoro dipendente fissato per legge. Dico sarebbe perché, invocato dall’opposizione, è respinto dalla maggioranza. Invece il Parlamento all’unanimità ha approvato (resta un terzo esame per motivi tecnici) il compenso minimo dei lavoratori indipendenti.

La nuova legge sulle retribuzioni dei professionisti introduce l’ennesima forma di equo canone. Il Parlamento ha deciso quanto debbano guadagnare le categorie che esercitano professioni liberali in senso lato. Tuttavia, per paradosso, la legge sui liberi professionisti non ha a che vedere con la libertà e il liberalismo. E, per secondo paradosso, l’una e l’altro erano debitori del ministro “comunista” Pier Luigi Bersani, che nel 2006 provvidamente abolì l’obbligatorietà dei compensi minimi per le prestazioni professionali, restituendo ai clienti la facoltà di patteggiare con il professionista il compenso per la prestazione.

Successivamente, la vicenda delle tariffe professionali obbligatorie, che nei fatti obbligatorie proprio non furono mai, è proseguita secondo il tradizionale andazzo italiano: abrogazioni, reintroduzioni, eccezioni, decreti, provvedimenti, Autorità antitrust. Finché la nuova legge, che estende la disciplina dell’equo compenso persino ai “professionisti non organizzati” (sic!), ha fatto tabula rasa del passato, giungendo ad istituire, con supremo sprezzo del ridicolo, persino l’Osservatorio nazionale sull’equo compenso. I decreti attuativi stabiliranno l’equo compenso “proporzionato alla qualità e quantità del lavoro svolto” (è l’articolo 36 della Costituzione) e “al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”. Una “proporzione” che neppure Euclide riuscirebbe a calcolare.

L’equità, una parola che tra l’altro rimanda all’uguaglianza, non già alla giustizia, affascina i politici ma non ha senso riferita ai prezzi. Equo canone, equo interesse, equo prezzo, equo salario, equo compenso sono belle espressioni, suonano bene ma non significano affatto ciò a cui alludono. Sono slogan della pubblicità politica. Così neppure le nuove tariffe professionali potranno diventare davvero giuste perché ope legis. Risalgono al Basso Medioevo le indagini appassionate sull’equità negli scambi. Furono i pensatori cattolici, specialmente i Gesuiti, a concludere che il giusto prezzo di una merce o di un servizio lo può conoscere solo Dio in cielo. Sulla terra lo stabilisce il suo sostituto economico, il Mercato. Infatti, tutto l’oro del mondo non varrebbe nulla per l’assetato agonizzante nel deserto mentre quel moribondo pagherebbe tutto l’oro del mondo per una goccia d’acqua.

L’equo compenso non solo è inaccettabile perché arbitrario, iniquo verrebbe da dire, ma anche perché imposto con legge. E la legge non dovrebbe mai sanzionare una qualità inesistente, inventata dal nulla mediante una fictio iuris.


di Pietro Di Muccio de Quattro