mercoledì 8 marzo 2023
La neoeletta segretaria del Partito Democratico Elena Ethel Schlein, detta Elly, per l’opinione pubblica resta una sorta di oggetto misterioso. Sbucando fuori dal nulla è riuscita a mandare al tappeto un peso massimo della stazza politica di Stefano Bonaccini, lo sconfitto alle primarie Pd che è tornato con le pive nel sacco al suo mestiere di presidente della Regione Emilia-Romagna. È come ha detto lei: gli iscritti al partito non l’hanno vista arrivare. Elly Schlein è la classica outsider, cioè la persona giusta che riesce a trovarsi nel luogo giusto al momento giusto per modificare il corso di una storia collettiva. Tuttavia, la favola dell’eroe spuntato dal nulla che interviene a salvare una porzione di umanità morente (politicamente parlando) guidandolo attraverso una palingenesi è frutto di una visione mitica della realtà che non sposa la cruda semplicità di una storia personale costruita all’interno di un gruppo familiare e di un contesto sociale in confidenza con il potere.
Benché giovane, Elly è il cavallo di razza del progressismo radicale sul quale puntare per la vittoria. Famiglia di buone origini – il nonno materno, Agostino Viviani, è stato negli anni Settanta senatore della Repubblica in quota al Partito Socialista Italiano – ottimi studi liceali e universitari, un gran fiuto per la politica. Una volta si sarebbe detto: “La ragazza promette bene”. Doti innate e capacità acquisite nel tempo che tuttavia non fanno di lei una Giovanna d’Arco e neppure una Rosa Luxemburg. Elly è un’ottima frontwoman, sa reggere la scena nel teatrino della politica politicante e la sua prossemica è accattivante. Ma non è lei l’autrice del suo racconto politico. Il “Ghostwriter”, la mente che è alle sue spalle, lo sceneggiatore che ha scritto il copione della sua ascesa alla guida del primo partito della sinistra è un consumato protagonista del potere, da sempre esercitato con assoluta discrezione su scala nazionale e internazionale. Parliamo del “professore” Romano Prodi, l’uomo dell’“Eterno ritorno dell’uguale”, per dirla alla maniera di Friedrich Nietzsche. C’è lui dietro la vittoria della Schlein. I due si conoscono per frequentazioni famigliari. Lei, poco più che ragazzina, in risposta al siluramento del professore bolognese nella corsa per la presidenza della Repubblica nel 2013, per mano dei famosi 101 franchi tiratori del Pd che nel segreto dell’urna gli negarono il sostegno decisivo, s’inventò quella reazione di fresca innocenza giovanile chiamata #Occupy Pd. Con la sua creatura si mise a occupare le sedi del partito in segno di protesta per l’affossamento della candidatura di Prodi al Quirinale. Sembrava una sparata movimentista, invece era un seme piantato nel terreno che prima o poi avrebbe dato frutti. Ed eccola che, passata attraverso un peregrinare tra sigle di partiti e movimenti non senza capitalizzare in scranni al Parlamento europeo e nella Giunta regionale dell’Emilia-Romagna il successo conseguito presso l’opinione pubblica, si è ritrovata di punto in bianco al vertice di un partito in crisi al quale, peraltro, fino a qualche settimana prima del voto dei circoli locali non era iscritta.
Ora il disegno prodiano di riprendersi il Partito Democratico ha una sua protagonista. Se inizialmente quella della mano di Prodi dietro la vittoria della Schlein poteva essere un’illazione da gossip della politica, le recenti uscite pubbliche del professore, che improvvisamente ha ritrovato una verve presenzialista sui media, spazza via ogni possibile dubbio sul suo coinvolgimento nel successo del nuovo corso giovanilista del Pd. Con un’intervista a Repubblica, alla quale ne è seguita un’altra concessa a Lucia Annunziata per la trasmissione televisiva domenicale “Mezz’ora in più”, Romano Prodi è sceso in campo a tranquillizzare gli ambienti industriali e finanziari, tradizionalmente accondiscendenti con la vocazione governista della sinistra ex-comunista, spaventati dal massimalismo infantile della giovane leader e, nel contempo, a dettare la linea del nuovo corso Pd. Cos’ha detto il professore? Che il voto popolare alle primarie ha rianimato un partito catatonico; che la partecipazione della Schlein alla manifestazione antifascista di Firenze, lo scorso sabato, accanto al leader Cinque Stelle, Giuseppe Conte, e al capo della Cgil, Maurizio Landini, è stata un’esplorazione per possibili scenari futuri; che Elly deve concentrarsi sul definire un programma il quale ridisegni l’identità del partito e solo dopo preoccuparsi delle alleanze. E sull’approccio movimentista della nuova segretaria? Prodi ne è entusiasta. Per lui un po’ di radicalismo nell’offerta politica è necessario, perché su alcuni temi bisogna essere radicali per poter parlare alla società.
Il Pd dell’ultimo decennio, governista a oltranza, aveva perduto ogni spinta aggregante per adattarsi a essere una forza politica schierata a difesa degli interessi dei poteri forti. Prodi cita il caso di Enrico Letta, non difeso da nessuno dei suoi quando provò a porre la questione dell’introduzione della patrimoniale per aiutare i giovani inoccupati. Tutto lascia prevedere che nella cabina di comando del Pd targato Elly Schlein, insieme a una varia umanità di improbabili figure arcobaleno, il professore avrà il ruolo di ufficiale di rotta con qualche peso nella scelta dell’equipaggio. Lo si è visto nel modo con cui ha schivato l’insidiosa domanda sul coinvolgimento di Bonaccini nella gestione unitaria del partito. Prodi ha risposto secco che non sarà necessario che i due (Elly e Stefano) lavorino insieme, ma è sufficiente che vi sia uno spirito di collaborazione. Riguardo alla politica estera del Pd qualcosa di nuovo la si vedrà molto presto. La posizione del partito sulla guerra ucraina subirà una modifica sostanziale, sebbene in apparenza impercettibile. La Schlein sarà più “aperturista” rispetto al suo predecessore verso la soluzione diplomatica del conflitto. Da oggi Mosca può contare sul ritorno di un altro amico nel dibattito politico italiano. Già, perché ciò che molti ignorano o fingono d’ignorare è il fatto che Vladimir Putin non avesse solo Silvio Berlusconi come grande amico italiano. L’altro, altrettanto stimato e amato al Cremlino, è il professor Prodi. La differenza con il leone di Arcore è che Prodi, oltre a essere in sintonia con Mosca, è grande sostenitore del ruolo della Cina quale player geopolitico globale. Non è un caso che, nel corso dell’intervista televisiva, abbia insistito nel ritenere che la chiave di soluzione del conflitto che insanguina l’Est Europa sia nelle mani di statunitensi e cinesi e, contestualmente, abbia messo in guardia dal pensare che l’atlantismo possa essere solo armi e niente diplomazia.
Aspettiamoci allora che nelle prossime uscite pubbliche di Elly sull’argomento guerra in Ucraina si sentirà citare la parola Pechino molto più di quanto non la sia udita con Enrico Letta regnante. Sarà un colpo basso per il Governo Meloni. Il riposizionamento sulla politica internazionale del Pd finirà per costituire un grosso problema per il nostro premier, che si troverà a interloquire con un Parlamento nel quale la maggioranza dei partiti, che sarà trasversale, sebbene continuerà nelle parole a dirsi schierata con l’Ucraina, nella sostanza coltiverà l’idea che una pace per la quale Kiev dovesse pagare un qualche prezzo anche territoriale sarebbe possibile. Di certo c’è che, d’ora in avanti, non dovremo limitarci a valutare l’impatto sulla politica italiana della variante movimentista e radicale rappresentata da Elly, ma dovremo considerare il valore aggiunto che reca alla sinistra il “fattore P”. Dove “P” sta per Prodi.
di Cristofaro Sola