sabato 21 gennaio 2023
Secondo il vocabolario Treccani on line, una forma particolare del supplizio dello squartamento in uso presso gli antichi Romani “consisteva nel legare solidamente le braccia aperte e le gambe divaricate del condannato a quattro cavalli che, lanciati in direzioni opposte, ne dilaceravano il corpo”.
Forse mette i brividi questo incipit sul “regionalismo differenziato”, ma è un modo per esprimere la mia preoccupazione verso la “riforma” che i cascami del leghismo padano stanno per infliggere agl’Italiani distratti. Temo che riusciranno a realizzarla. Il vento del secessionismo ha ripreso a spirare sotto il falso nome della differenziazione delle competenze regionali, la quale sarà il prodromo dello squartamento dello Stato, il colpo di frusta che spronerà i cavalli agli opposti. Lo smembramento della Repubblica, proclamata una e indivisibile dalla “Costituzione più bella del mondo”, è iniziato nel 1970 allorché i liberali, i monarchici, i missini non riuscirono ad impedire, neppure con un durissimo ostruzionismo parlamentare, l’approvazione della legge che istituì le Regioni ordinarie, delle quali l’Italia aveva fatto a meno per 22 anni, risollevandosi tuttavia dalle distruzioni della guerra e prosperando fino a diventare una potenza economica mondiale. Tanto le Regioni erano indispensabili!
Poi, nel 2001, la coalizione politica Ulivo, Pdci, Udeur, Indipendenti, illudendosi di sfruttare “il vento del Nord” e di beneficiarne nel voto politico di quello stesso anno, approvò la revisione del Titolo V della Costituzione, con cui fu innovato in profondità l’assetto delle Regioni, Province, Comuni, istituendo uno scriteriato pseudo federalismo che ha comportato, tra l’altro, il più imponente conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni. Quel Governo e quei partiti disarticolarono la Repubblica e furono pure sconfitti nelle urne. Né si posero le domande cruciali. Gli oppositori del 1970 avevano chiesto invano: “Era indispensabile elevare le Regioni al rango del legislatore nazionale?”. Gli avversari del 2001 domandarono altrettanto invano: “Avevano esse talmente meritato nel trentennio precedente da doverle portare al livello di entità para statuali confederate con lo Stato italiano?”. Le risposte sono “non era indispensabile” e “avevano demeritato”.
Le ragioni addotte per istituirle nel ’70 e potenziarle nel 2001 sono smentite dai fatti. Anzi, sono pervertite negli opposti: più spese pubbliche; maggiori costi della politica; più burocrazia; maggiori tributi (le addizionali!). Il “devoluzionismo” del 2001 ha ribaltato l’assetto originario e attribuito alle Regioni le funzioni non esplicitamente riservate allo Stato, oltre la legislazione concorrente. Ha dato la stura alle richieste di “regionalismo differenziato”, del quale, nonostante la pretesa necessità e urgenza, continuano tuttavia ad esser controversi se non addirittura oscuri i modi e i mezzi di realizzazione.
L’assunto dei “differenzialisti” è che il “devoluzionismo”, proclamato sulla Carta, resta incompiuto. Bisogna andare oltre, dicono, perché, stando così le cose, le Regioni sono impastoiate e non possono sprigionare tutti i presunti benefici della riforma del 2001. Ma la “differenziazione regionale”, come dice il nome, implica di necessità la “differenziazione delle persone”, non soltanto delle competenze, delle funzioni, degli organi. Se no, non avrebbe senso differenziare. In questo campo la differenziazione, intesa come concorrenza istituzionale, pare esclusa quanto meno dal tassativo divieto costituzionale di discriminazioni contrarie all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Infatti, la lingua dei “differenzialisti” batte dove duole il dente degli “antidifferenzialisti”, cioè sui Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) e sui Lea (Livelli essenziali di assistenza). I Lep sono affidati allo Stato. I Lea spettano alle Regioni.
Lo Stato ha legislazione esclusiva sulla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (articolo 117.II, lettera m). Poiché “la salute è diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività” (articolo 32.I), la Sanità regionale, già profondamente discriminatoria perché i tributi pagati in una Regione non “rendono” in cure sanitarie quanto i tributi pagati in un’altra Regione (donde il tristissimo “turismo sanitario”), dovrà attenersi a livelli minimi di assistenza uguali per tutto il territorio nazionale anziché viepiù diseguali per i malati in base alla Regione di residenza. L’adozione del “regionalismo differenziato” nella sanità pubblica somiglia ad un viaggio verso l’ignoto. A parte i Lep, come potranno ottenersi i Lea uniformi ed equivalenti in tutte le Regioni, “differenziate” e no, come impone (articolo 3.I; 32.I; 117.II, lettera m) la Costituzione?
Le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” nelle materie specificate (articolo 116.3) possono essere ottenute dalle Regioni ordinarie mediante una complessa procedura la cui ratio consiste nel frenare, non nell’incoraggiare o accelerare il processo di differenziazione, considerando i problemi qualitativi e quantitativi della finanza diretta, della compartecipazione ai tributi erariali e del fondo perequativo statale. Le Regioni ordinarie sono costate sempre di più al cittadino (è lui che paga tutto, comunque si chiamino gli enti che incamerano e spendono). Il “regionalismo differenziato” aumenterà i costi degli apparati pubblici, senza corrispondenti vantaggi diversi da quelli di cui beneficerà la classe politica così accresciuta (cariche da assegnare, impieghi da ricoprire, immobili di servizio, eccetera). Le intese tra lo Stato e le Regioni interessate sono approvate dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti. La procedura è stata avviata da alcune Regioni, forti dei referendum entusiasticamente approvati dai loro ignari concittadini. Un ministro è al lavoro. I dettagli sono ignoti, mentre Lep e Lea restano in mente Dei. Del “regionalismo differenziato” dovranno pentirsi parimenti chi lo reclama e chi no.
I cavalli del supplizio, le Regioni “differenzialiste”, hanno preso a scalpitare irrequieti. Non lanciati, per ora. E potrebbero presto disarticolare l’Italia stanca della giovane unità nazionale.
di Pietro Di Muccio de Quattro