Strage di Bologna: l’onestà intellettuale che manca alla sinistra

venerdì 20 gennaio 2023


Periodicamente, come un fiume carsico, e talvolta come un fulmine a ciel sereno, riemerge la vexata quaestio dei veri responsabili della strage di Bologna. Notoriamente, coloro che hanno dovuto subire la sentenza definitiva – in attesa di nuove verità clamorose, che potrebbero presto arrivare dal disvelamento dei segreti di Stato sulla strage – si sono sempre proclamati innocenti, pur bevendosi l’amaro calice e le contumelie complottiste, che recentemente hanno portato alcuni pm a fare processare persino gli ex capi della P2, da tempo defunti.

Benché autori confessi di altri e numerosi omicidi del periodo degli Anni di piombo, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti rifiutano però l’etichetta di stragisti. E anche per motivi anagrafici e storiografici la logica milita dalla loro parte, a ben vedere. Per Fioravanti e Mambro, il calvario – sotto forma di nemesi – è quello di dovere però partecipare alla eterna lotta tra la sinistra riformista e in buona fede ideologica, e quella massimalista, che del concetto di “buona fede” ignora persino il significato.

Ciononostante – senza attendere i prossimi documenti che l’ex Sismi trasmise al Governo in quegli anni e che sono tuttora coperti dal segreto di Stato – ogni tanto le acque si agitano. Molte personalità della sinistra, anche estrema ma libertaria, come quella impersonata a suo tempo dalla indimenticabile Rossana Rossanda su Il manifesto, e in seguito dall’onestissimo intellettualmente Andrea Colombo, sempre sul Manifesto, quotidiano “comunista per antonomasia e per autodefinizione”, si sono ripetutamente espresse a favore dell’innocenza di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro per quella terribile e ignobile strage. A loro si possono aggiungere personalità come l’ex indimenticato presidente della commissione Stragi, Giovanni Pellegrino. Un avvocato tanto garantista quanto comunista, che però mai si è assoggettato ai dogmi del Partito Comunista di Bologna sull’attentato.

In attesa di un processo di revisione, solo Dio sa come stanno le cose, a voler assumere una posizione laica ed equidistante. Una sentenza divenuta definitiva spesso non implica una verità storica, piuttosto una realtà burocratica. Un po’ quanto accaduto – mutatis mutandis – con il verdetto finale del processo per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, con condanne subite ma sempre contestate dai protagonisti (indicati come presunti mandanti) dell’epoca: Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Allora non si vede perché una campagna garantista e innocentista – basata su concrete emergenze processuali, sia pure indiziarie, emerse nel corso degli ultimi anni e in attesa dei documenti del Sismi – venga bollata come vergognoso depistaggio, laddove l’altra, quella per Sofri, abbia invece pieno diritto di cittadinanza. La riflessione che precede viene a causa della pubblicazione di un libro, quello di Paolo Morando edito da Feltrinelli e recensito con molta enfasi da “Repubblica”, dal titolo “La strage di Bologna: Bellini, i Nar, i mandanti e un perdono tradito”. Non avendo letto il libro, se non dalle citazioni della clamorosa recensione firmata da Stefano Cappellini – che a dispetto della sua indole garantista e riformista sembra abbracciare in pieno le verità di chi vuole accollare a tutti i costi la strage ai neofascisti della fine degli anni ’70 e inizio anni ‘80 in generale, e a Mambro e Fioravanti in particolare – mi vorrei soffermare solo su una circostanza indicata nel titolo: “Il perdono tradito”. Che poi è la cosa che sembra fare più notizia nella struttura dell’articolo di Cappellini.

Ebbene, sembra che non sia univoca la versione che danno i familiari di una vittima di questa strage, Mauro Di Vittorio, già appartenente alla sinistra extraparlamentare di via dei Volsci. La sua morte è fonte di discordia: nelle carte del Sismi, che parlano dei retroscena del Lodo Moro e della storia mai chiarita dei missili Strela che Daniele Pifano faceva transitare nell’Italia centrale per consegnarli alla resistenza palestinese, che in Italia a causa del cosiddetto Lodo Moro avevano una sorta di “licenza di uccidere”, potrebbero esserci particolari inquietanti, di cui ha parlato ad esempio, Enzo Raisi, ex Alleanza Nazionale.

Nel pezzo di Cappellini – e presumo anche nel libro – si parla del perdono tradito da Mambro e Fioravanti, accusati da Morando di avere prima chiesto il perdono ai genitori di Mauro Di Vittorio per la strage, per poter usufruire dei benefici di legge per gli ergastolani dell’epoca – ancora non c’era l’ostatività – e in seguito di aver avallato le tesi che indicavano, come sospetta, la presenza del figlio, quel giorno, tra le vittime della stazione di Bologna. Perciò, di questa vicenda esiste un’altra versione fornita da un’altra campana, che sia Morando – per il libro – sia Cappellini – per la recensione – avrebbero fatto bene a sentire. La versione è ovviamente proprio quella dei due interessati e condannati per la strage, i quali sostengono di avere, sì, ricevuto una visita di due familiari di Mauro Di Vittorio, che avrebbero loro “offerto in regalo” il perdono per la strage. Ma di avere altresì rifiutato, ringraziando cortesemente per il gesto, per il semplice motivo che se lo avessero accettato quel perdono gratuito – autodefinendosi da sempre come innocenti per il reato di strage – sarebbero stati subito colti in castagna, per l’implicita ammissione di responsabilità e “sputtanati” dalla stampa, in generale, e da quella che difende il dogma della strage fascista, in particolare.

Le cose – secondo Mambro e Fioravanti – sarebbero invece andate così. Dopo che avremo letto questo libro nei minimi particolari parleremo, caso mai interessasse, anche del resto.


di Dimitri Buffa