Crisi dei partiti e partiti in crisi: arriva lo spoil system

giovedì 12 gennaio 2023


Si fa presto a dire crisi. Dei partiti, poi. Diciamocelo almeno inter nos: è la crisi della politica. Se ci guardiamo intorno senza paraocchi e senza abbandonarci ai giochi da tifoserie, la voglia di politica, di parlarne, di farla, di raccontarla e oggi, soprattutto, di vederla, se ne è andata. Si è dissolta ed è fuggita in un altrove dal quale, c’è da giurarlo, non tornerà più.

Walter Veltroni sul Corriere della Sera aggiunge che la politica è distratta ma poi, come un tentativo per correggersi, cita la vicenda brasiliana che rimanda a problemi reali dell’efficienza percepita, e reale, del sistema. C’è dunque da preoccuparsi, aggiungiamo noi, per le sorti della democrazia? Certo, la preoccupazione esiste. Non da oggi e non tanto – o non soltanto – per la fragilità di qualsiasi democrazia ma per la sua endemica situazione di attesa, ascolto, incertezza, ansia, sfiducia. Cioè di identità.

Non per punzecchiare l’accusatore di “distrazione” della politica, la sua sembra la perorazione il riflesso di una domanda, per così dire interna, di una richiesta dentro la propria domus, dentro cioè quel Partito Democratico che sta dispiegando una serie di capitoli di una sua storia che si fa sempre più di parte, sempre più “piccola”, sempre più estranea alla complessità odierna, sempre più restia ad abbandonare i sogni del passato, e a coniugare la sua presenza e le sue stesse ragioni non soltanto con le domande ma con l’immediata, ruvida, concreta realtà nella quale si è immersi. È una crisi di identità.

Va pur detto che tale crisi è epocale, riguarda tutto l’apparato della polis, a cominciare dalle sue colonne portanti, cioè i partiti, le cui difficoltà – se non impossibilità – a rapportarsi con la realtà odierna sono di tutta evidenza, al di là e al di sopra di qualsiasi analisi, di qualsiasi richiesta. E volevamo aggiungere di qualsiasi congresso, che è appunto – come per il Pd – lo specchio e lo snodo di quello che i nostri progenitori latini chiamavano brutalmente hic Rhodus, hic salta.

Il disfacimento della Prima Repubblica sotto i colpi dei magli giudiziari (col contributo fattivo degli ex comunisti e di Veltroni in prima fila) ha ribaltato non solo o non soltanto gli antichi posizionamenti garantiti dai partiti, ma ne ha svuotato il contenuto primario, lo spirito e la missione. Ne ha fatto delle scatole vuote da esibire in tv, nei talk show, nelle finte diatribe a favore di una videocrazia che ne ha definitivamente risucchiato la loro stessa raison d'être.

Non solo, ma la riduzione partitica a una falsa e finta combinazione fra base e vertice si è ulteriormente aggravata sia per la pratica assenza di una vita interna di questa base, sia per la scomparsa vuoi delle sedi (a parte i congressi di facciata) e degli scambi di opinioni, vuoi della stessa spinta (a parte il primo Silvio Berlusconi e l’avvento di Giorgia Meloni) nella ricerca di nuovi traguardi, di ulteriori scoperte, di nuovi capitoli da intrecciare.

Ecco perché scatta spesso la meccanica della nostalgia, insieme al richiamo niente affatto pedissequo di alcuni brani per dir così interni ai partiti di quella lontana storia. Ci riferiamo, né più né meno, che alle correnti interne che davano del filo da torcere (Bettino Craxi dixit) ai segretari di partito, ma ne temperavano il potere e, al tempo stesso, offrivano diverse opzioni, rendendo accidentato il percorso del leader massimo e impedendo l’incrostazione di posizioni di comodo, nel solco di una disattenzione circa le problematiche incalzanti. Era la cosiddetta identità che, nel bene e nel male, non poteva permettersi distrazioni e non soltanto, come dicevano i tanti nemici, nel caso di lottizzazioni e spartizioni.

Pratiche, queste, che oggi assorbono l’attenzione spasmodica dei partiti ma con nomi più chic, più eleganti, postmoderni: spoil system.


di Paolo Pillitteri