Conte: quantum mutatus ab illo!

venerdì 16 dicembre 2022


Ci siamo capiti. Il titolo in latino di quest’articolo ci vuole eccome, soprattutto quando si tenta una sorta di psicopatologia di una figura umana, quella del politico, che va (o che è andata) oltre un traguardo naturale, che per chiunque faccia politica è una destinazione obbligata. Questo traguardo è inevitabile, perché il fare politica o il suo farsi corrisponde a un percorso, per alcuni tramutatosi in una vera e propria corsa, che implica – ed è addirittura ovvio – una vocazione, una sorta di chiamata che, a sua volta, obbliga a una prova, rappresentando così un passo diverso, una spinta (stavamo per dire un salto).

Questo per sottolineare che la traiettoria (o percorso) di Giuseppe Conte è bensì in linea con teoria e prassi del suo mestiere (nuovo, come si sa). Ma questo allineamento, proprio in quanto casuale, è quanto di più lontano e, diciamolo pure, insperato da lui stesso, da qualsiasi immaginazione preventiva e da ogni valutazione a priori. In questo senso, il quantum mutatus ab illo, la grande mutazione che si è verificata nel giro di qualche mese, è propedeutica a qualsiasi giudizio si voglia esprimere a proposito di quel percorso, come si diceva, che ha condotto l’avvocato Conte ai vertici: prima come presidente del Consiglio, successivamente come presidente dei Cinque Stelle, ovvero il maggior partito del Paese e ora come predicatore dell’opposizione. Quando si dice il caso…

Intendiamoci: non ci troviamo di fronte a una situazione per dir così abusiva, giacché le cariche assunte da Giuseppe Conte non soltanto si sono verificate con scelte collettive ma, a maggior ragione, sono avvenute coram populo, alla luce del sole, senza dissimulazioni macchinose e, soprattutto, senza quei giochi o giochini che sono sempre uno spettacolo per quanti osservino il grande match, quello vero, della politica italiana e delle sue scelte. Ma questa assenza di giochi o giochini, che sono poi le scelte più o meno azzeccate, più o meno ponderate, più o meno dibattute, più o meno approvate nella consuetudine della Polis, mostra – insieme alla casualità di quel percorso – il vuoto pneumatico nel fondo di una storia che non stiamo nemmeno a raccontare, nota com’è a chi segue con un minimo di attenzione le vicende di oggi.

Non è una questione di moralismo – una variante paraideologica che al Movimento pentastellato ha consentito di fare, come si dice, il pieno di voti – ma, semmai, di ovvia constatazione proprio di un vuoto, anch’esso pneumatico, che contraddistingue quel Movimento. A cominciare dall’assenza non tanto o non soltanto di organismi interni percepibili dal comune cittadino, quanto di una qualsiasi impostazione ideologica che non sia quella di una elementare volontà (stavamo per scrivere voluttà) racchiusa, a seconda dei casi e delle convenienze, nei sì (pochi) e nei no (tanti). Si tratta, dunque, della vera e propria assenza di qualsiasi programma fuori dal recinto di convenienze pure e semplici. E il perché di una simile mancanza non soltanto è implicito nel vuoto di cui sopra, ma nella cattiva volontà di quanti, pur di dividere una fetta di potere, scelgono quel vuoto in alleanze che lasciano il tempo che trovano, senza produrre risultati utili al Paese.

Ed è nell’alternanza delle posizioni di Giuseppe Conte, prima fervido governista e ora oppositore preconcetto, che va osservato il degrado di quel percorso all’indietro, di quella corsa, di un procedere senza pudori che, in nome della nuova politica (nuova?), sta rivalutando quella vecchia. Ben oltre Giulio Andreotti, ben oltre Bettino Craxi. Su su fino a Giovanni Giolitti e compagnia bella.


di Paolo Pillitteri