Il Mes è pienamente in vigore, troppo tardi per metterlo in discussione

martedì 13 dicembre 2022


Di tanto in tanto si riaccende il dibattito sul Mes, come se fosse un organismo che ancora non esiste, mentre esso è già pienamente operativo. Nacque nel settembre del 2012, a seguito della firma di un trattato sottoscritto dai Paesi dell’Eurogruppo, durante la crisi dei debiti sovrani, con finalità di fornire assistenza finanziaria a uno Stato membro, la cui crisi avrebbe potuto mettere a rischio l’intera Area Euro. Fu ratificato da tutti e sostituì altre istituzioni già esistenti, tra cui il Fondo europeo di stabilità finanziaria, meglio conosciuto come Fondo salva Stati. Oltre agli aiuti agli Stati in crisi, il Mes prevede anche prestiti precauzionali ossia interventi a favore di quei Paesi che, nonostante siano in condizioni macroeconomiche solide, potrebbero avere bisogno di un sostegno per contingenze temporanee.

Il trattato che lo ha istituito è da subito apparso di difficile comprensione. E l’approvazione della relativa legge di ratifica dal nostro Parlamento fu liquidata in pochi giorni, con sbrigativi passaggi d’Aula privi di interventi che spiegassero, realmente, la portata del provvedimento. Le dichiarazioni di voto di tutti i partiti furono poche e limitate all’essenziale, incentrate più su aspetti quali l’immunità giuridica prevista per gli appartenenti al nuovo organismo – o ai fondi da esborsare per entrarvi – che ai complessi meccanismi definiti “di stabilizzazione” o di controllo del beneficiario del prestito. Il provvedimento passò a maggioranza quasi unanime – il Governo era quello tecnico di Mario Monti – e solo la Lega espresse il voto contrario.

Ora se ne torna a parlare dopo che ci si è accorti che esiste, poiché deve essere riformato con previsioni di non facile lettura recate da un emendamento il quale, dopo il recente sblocco tedesco, solo l’Italia non ha ancora ratificato. A prima vista, pare che il nuovo testo non sottoporrebbe il Paese che ne fa ricorso alle condizionalità che prima venivano concordate mediante un Memorandum of Understanding, ma i parametri verrebbero valutati prima della concessione. Come di fatto succede tra una banca che concede un prestito e il beneficiario: se non vi sono garanzie, i soldi non vengono dati.

La proposta di riforma, pertanto, interviene sulle condizioni necessarie per la concessione di assistenza finanziaria e sui compiti svolti dal Mes in tale ambito, introducendo modifiche di portata complessivamente limitata. La riforma non prevede, né annuncia, un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani e non affida al Mes compiti di sorveglianza macroeconomica. L’emendamento attribuirebbe poi al Mes una nuova funzione, quella di fornire una rete di sicurezza finanziaria al Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund, Srf) nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie, affinché il costo dei dissesti bancari sia a carico del settore finanziario e non dei contribuenti.

Non si capisce, pertanto, perché la modifica provochi divisioni e dissensi. Se invece è motivo di rinnovate perplessità nei confronti dell’organismo, allora è un altro conto. D’altronde, al tempo della legge di ratifica chi votò a favore non ebbe tempo di approfondire e, forse solo dopo molto tempo, comprese le potenzialità del meccanismo. Per quanto riguarda i conti e i possibili benefici, il Mes è previsto che abbia a regime una dotazione di 704 miliardi (da finanziare gradualmente) dai singoli Stati membri, con una ripartizione percentuale in base al Pil e all’importanza economica. La Germania contribuisce per il 27,1 per cento, seguita dalla Francia con il 20,3 per cento e dall’Italia con il 17,9 per cento. Il nostro Paese, sinora, ha versato poco più di 14 miliardi, se si escludono i contributi al precedente Fondo salva Stati di cui il Mes ha preso il posto. Calcolando le percentuali degli altri Stati, il Mes dovrebbe avere in cassa, pertanto, circa 80 miliardi sulla cui leva ha emesso negli anni sino a 300 miliardi di obbligazioni.

In base ai documenti in circolazione, l’Italia potrebbe beneficiare di un prestito pari al 2 per cento del Pil, quindi circa 36 miliardi. In poche parole: a regime noi avremo versato 125 miliardi a fondo perduto per riceverne in prestito, se meritevoli, forse 36. Non sembra un buon affare, diamo soldi al Mes per farceli prestare con gli interessi e concedendo il diritto di controllare come terremo a posto i conti! L’emendamento in questo cambia poco ed è tardi per mettere in discussione un trattato, quello istitutivo, già ratificato e in vigore.


di Ferdinando Fedi