L’Anm si muove in termini politici

domenica 11 dicembre 2022


Insostenibili le critiche al ministro Nordio

Come era largamente prevedibile, l’Associazione Nazionale Magistrati, come un sol uomo, ha reagito di fronte alle proposte di riforma del ministro della Giustizia Carlo Nordio, dicendosi risolutamente contraria sia alla separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, sia al venir meno della obbligatorietà dell’azione penale.

La cosa non sorprende perché non è la prima volta che ciò accade e non sarà certamente l’ultima.

Mi limito perciò soltanto a tre osservazioni, le prime due non nuove, l’ultima nuovissima.

La prima. L’Anm si muove in termini dichiaratamente politici, reclamando perciò sul palcoscenico istituzionale italiano un ruolo di compiuta soggettività politica, tale da renderla interlocutrice legittima dei partiti, del Governo, del Parlamento e tale da poter censurare l’operato di questi quando lo ritenga opportuno, avvalendosi anche di una serie di mezzi di comunicazione pronti a supportarne le posizioni, ben oltre le stesse capacità di un partito vero e proprio.

Peccato che così facendo si metta nel nulla la separazione dei poteri quale principio indefettibile dello Stato di diritto, che dovrebbe essere massima cura dei magistrati difendere, in quanto il potere giudiziario, pretendendo di partecipare al confezionamento delle leggi, finisce col sovrapporsi al potere legislativo, spodestandolo.

La seconda. Nel merito le critiche mosse a Nordio sono insostenibili. Infatti, per un verso, separare le carriere non vuol dire in alcun modo sottoporre i pubblici ministeri al potere esecutivo, ma soltanto rafforzare la terzietà del giudice, liberandolo da eccessive commistioni con la pubblica accusa, cosa di cui si sente il bisogno, anche perché una cosa è accusare e altra, ben diversa, giudicare. Per altro verso, abolire l’obbligatorietà dell’azione penale vuol dire responsabilizzare i pubblici ministeri, i quali per primi sanno già che da molto tempo tale obbligatorietà è solo una chimera: chi scrive, rivestendo nel 1994 un ruolo istituzionale, ricevette una formale richiesta da alcuni pubblici ministeri i quali, di fronte a migliaia di fascicoli da istruire, volevano fosse il ministro a dir loro quali trattare e quali invece abbandonare alla prescrizione, cosa che evidentemente non avvenne. Questo episodio dimostra come già tre decenni or sono, della obbligatorietà dell’azione penale non vi fosse neppure l’ombra, in quanto il singolo pubblico ministero decide quale fascicolo portare avanti e quale no, usando di un arbitrio così assoluto che in quel caso ne nacque un commendevole disagio che si chiedeva al ministro di dissipare.

Sono dunque i pubblici ministeri medesimi a sapere bene che l’obbligatorietà dell’azione penale è da molti anni una semplice finzione, una ipocrisia sociale che tuttavia attribuisce loro un potere immenso senza la correlata responsabilità: cosa non più tollerabile.

La terza. È in assoluto la prima volta che l’Anm si trova a fronteggiare un ministro che venga dai propri ranghi, avendo Nordio rivestito il ruolo di magistrato per tutta la vita e, per di più, quello di pubblico ministero particolarmente qualificato, tanto da aver condotto con successo l’indagine sul Mose di Venezia, le cui vicende corruttive possono essere considerate il più grande scandalo politico-finanziario degli ultimi vent’anni.

A differenza di ciò che si poteva pensare – a torto o ragione – di altri ministri, può perciò affermarsi che quando Nordio parla, sa esattamente quello che dice e che quando elabora delle proposte di modifica delle norme vigenti, non solo possiede la conoscenza teorica necessaria allo scopo, ma, avendo vissuto decenni di esperienza professionale, la completa con quella pratica, di nulla mancando perciò personalmente per riformare l’ordinamento nel senso indicato: ed è pure ricco di buon senso, che non guasta.

Ecco perché l’Associazione Nazionale Magistrati farebbe bene, prima di esporsi pubblicamente, a riflettere sul calibro del suo interlocutore e su come Nordio non sia un ministro qualunque, perché egli sa per esperienza personale una cosa ovvia ma che molti dimenticano: sa che i pubblici ministeri sono magistrati, ma non sono giudici. E ne trae le conseguenze.

Postilla: se davvero si vuole evitare, come Nordio di certo vuole, che le intercettazioni o altro materiale probatorio riservato vada a finire sulle pagine dei giornali, propongo un metodo efficace. Si ponga a carico del Procuratore capo un onere di controllo sui componenti dell’ufficio da lui diretto allo scopo di evitare ogni indebita fuga di notizie, sicché – al pari di quanto accade al direttore di un quotidiano con i giornalisti in relazione alle eventuali espressioni diffamatorie – si possa a lui imputare un omesso controllo, sotto pena di una sanzione non solo disciplinare. Se del reato di omesso controllo può rispondere il direttore, parimenti può risponderne il capo di una Procura che da lui dipende. Funzionerebbe.

(*) Articolo tratto dal quotidiano La Sicilia


di Vincenzo Vitale