Per una semantica del lessico ministeriale

venerdì 28 ottobre 2022


“Le parole sono pietre”, scrive Carlo Levi. Ma molto prima di lui Gorgia di Lentini affermava che le parole sono più potenti dell’uomo, perché capaci di cambiare il mondo. Si capisce, allora, l’attenzione che la stampa e i politici di sinistra hanno in questi giorni dedicato alla nuova denominazione che alcuni ministeri hanno assunto con l’entrata in carica del Governo Meloni: eliminare, aggiungere o sostituire una parola non è affatto privo di significato, soprattutto quando si tratta, come in questo caso, di denominazioni ufficiali di dicasteri governativi. E dunque vediamole alcune di queste parole per il significato che possono veicolare.

Il ministero dello Sviluppo economico diventa ministero delle Imprese e del Made in Italy. Va appena notato come al posto di un’etichetta neutra e astratta (Sviluppo economico) si ponga qui un riferimento espresso alle imprese e soprattutto a quel “Made in Italy” che, di quelle imprese, costituisce il passaporto internazionale più efficace e riconosciuto e che va tutelato, anche per dare ossigeno alle aziende italiane prima falcidiate dalla pandemia e poi dalla guerra in corso.

Il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, eliminando i due ultimi termini, li sostituisce con “Sovranità alimentare”. Fa sorridere in proposito la contestazione giunta da sinistra, perché si ignora evidentemente che fu proprio la sovranità alimentare al centro delle riforme operate in Burkina Faso da Thomas Sankara, detto il “Che Guevara africano”, che più di sinistra non si poteva. Inoltre, sul sito di “Mani Tese”, organizzazione cattolica di sinistra e non certo fascista, si legge che “la sovranità alimentare dei popoli è minata da un’impressionante concentrazione di potere nelle mani di poche imprese multinazionali di settore che controllano il mercato delle sementi, dei fertilizzanti, dei pesticidi, ma anche della trasformazione e della grande distribuzione organizzata”.

Ciò dimostra che molti parlano per criticare, ma non sanno quello che dicono, perché il Governo sembra voler dar corso a una politica nel solco denunciato da Mani Tese e da un rivoluzionario di estrema sinistra e, paradossalmente, viene accusato di fascismo. Detto per inciso, il corrispondente dicastero francese ha assunto da tempo l’identica denominazione e nessuno ha attaccato per questo Emmanuel Macron.

Il ministero dell’Istruzione aggiunge la specificazione “del merito”: e ciò ha fatto gridare allo scandalo molti benpensanti. Ma costoro hanno mai letto una tesi di laurea presentata nell’ultimo decennio? Hanno idea dell’imbarazzo del docente che, invece di controllarne i contenuti, è costretto a correggere la sintassi e perfino la grammatica di base, perché chi scrive le ignora? Sanno che in prima media, a volte, gli insegnanti debbono far abituare i ragazzini all’uso del corsivo, perché giungono dalle elementari sapendo scrivere solo in stampatello? E il merito dove si trova in questi non infrequenti casi? Nessuno pretende che i ragazzi siano tutti Albert Einstein o Luigi Pirandello, ma una soglia minima di preparazione va garantita. Purtroppo, spesso la scuola italiana è scivolata verso il basso e nella preoccupazione di non lasciare indietro nessuno – per il demone dell’egualitarismo – ha finito con il penalizzare non solo chi avrebbe potuto puntare in alto e che invece è stato indebitamente zavorrato, ma anche tutti gli altri. Per non parlare poi dei docenti, questi ergastolani delle riunioni, nel corso delle quali la preoccupazione per la didattica, la metodologia, la programmazione spodesta il vero scopo della scuola. Cioè l’insegnamento, del quale pochi sembrano preoccuparsi, impegnati come sono a riempire moduli, studiare diagrammi, proporre improbabili organizzazioni per la trasmissione del sapere.

Il ministero delle Pari opportunità e della famiglia aggiunge il termine natalità che ha sollevato altre critiche, perché viene letto come un’indiretta disincentivazione dell’aborto. Ma non si ripete da almeno un decennio che l’Italia è a rischio, perché le nascite sono di molto inferiori ai decessi e che, continuando di questo passo, fra vent’anni circa la popolazione si sarà ridotta di alcuni milioni di persone, mettendo perfino in dubbio la possibilità di pagare le pensioni? E allora? Questi allarmi ribaditi da ogni dove debbono restare inascoltati? E poi: come è possibile che un termine gioioso come natalità faccia tanto rabbuiare i critici del Governo? Dovrebbero invece rallegrarsi per l’inserimento di una parola semanticamente deliziosa e che richiama il profumo inconfondibile dei neonati, dai quali promana l’aroma stesso della vita.

Un’ultima notazione, per dir così, extra-ministeriale sulle parole. Molti criticano Giorgia Meloni per aver usato la parola nazione invece di Paese, affermando che il primo termine sarebbe espressione di un sovranismo antieuropeo di matrice fascista, mentre il secondo sarebbe il solo accettabile, anche perché usato da tempo da commentatori e politici (di sinistra). Questa censura mi sembra tuttavia soltanto un paradigmatico frutto di una inguaribile cecità ideologica. Infatti, mentre Paese indica la rilevazione geografica del territorio, nazione comprende il popolo connotato dalla sua storia e dall’intera sua civiltà. E c’è la prova: i ministri che hanno giurato nelle mani del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella lo hanno fatto nell’interesse esclusivo “della nazione”, non “del Paese”. Sarebbe stato difficile giurare nell’interesse di fiumi e montagne.


di Vincenzo Vitale