Centrodestra, sfida di Governo e di libertà

mercoledì 19 ottobre 2022


Il centrodestra si prepara a governare il Paese. Ma sarà in grado di cambiarlo? Già, perché la vera sfida che attende la coalizione vincente, trainata da un partito dichiaratamente conservatore, non può limitarsi al contenimento del costo delle bollette. Intendiamoci, non che l’emergenza energetica non sia una priorità. Con oltre cinque milioni e mezzo di poveri assoluti sarebbe una bestemmia sostenere il contrario. Tuttavia, la politica deve essere altro, deve essere un faro di luce soprattutto nei momenti bui. Bisogna aver navigato per apprezzare l’importanza, a volte salvifica, di intravedere un raggio luminoso nelle tenebre che indichi una via e un approdo sicuri. Ecco perché confidiamo nella capacità dell’Esecutivo che sta per nascere di sapersi elevare sopra la quota della contingenza e di guardare lontano.

Siamo all’inizio del viaggio ma qualche segnale inviatoci dalla coalizione è incoraggiante. Ci riferiamo all’elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento. Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana sono state scelte azzeccate. Lo dimostra il travaso di bile con il quale il mondo del progressismobenpensante” ha accolto le loro nomine. La Russa il fascista, Fontana il reazionario, sono gli epiteti più gentili che l’opposizione ha rivolto ai due. Ma l’onda di fango sollevata dai guaiti degli “intellò” progressisti è di proporzioni ben più ampie e di odore ben più mefitico degli improperi rivolti ai due presidenti neoeletti. Il vecchio militante missino e il giovane leghista tradizionalista sono le cartine di tornasole che ci consentono di provare, oltre ogni ragionevole dubbio, che un fascismo ideologico in Italia c’è ma non appartiene alla destra bensì alla sinistra; che lo squadrismo non è tramontato ma, sepolte dalla polvere della storia le “camicie nere”, oggi è patrimonio poco invidiabile della militanza “antifa”. Lo provano gli striscioni, appesi sui ponti e sui muri di Roma, di “benvenuto” al neo-presidente del Senato nei quali il cognome La Russa è scritto sottosopra, a preconizzare una fine a testa in giù per l’interessato.

Neppure il razzismo è stato cancellato dalla nostra società. Non parliamo delle leggi razziali del 1938 ma della forma di razzismo più raffinata, intellettuale, praticata dalla sinistra “colta” che si scaglia sul presidente della Camera definendo inaccettabile la sua elezione perché si tratta di un cattolico tradizionalista osservante. Essere di destra in Italia significa essere dei paria, dei figli di un dio minore. Nella politica italiana il clima d’odio instaurato dalla sinistra ha superato il livello di guardia. Se ciò è avvenuto non è stato per una bizzarria del Fato. L’odio non è la causa del male ma il distillato di una cultura egemonica che la sinistra delle avanguardie intellettuali ha impiegato nella conquista delle casematte del potere. Stare al Governo per anni senza aver vinto le elezioni è il frutto con il quale il progressismo elitario degli orfani dei soviet ha avvelenato la tavola della democrazia. I “compagni” sono partiti da lontano, dalla variante maoista-eversiva della Contestazione del 1968 che, fallita come progetto politico, si è trasformata in rivoluzione del costume. E sul quel terreno hanno vinto. Il merito più grande che il mondo sessantottino può attribuirsi è di aver imposto alla società una visione dicotomica che separa ontologicamente il progressismo, identificato come il Bene dell’umanità, da tutto ciò che vi si oppone e che naturaliter va a comporre l’universo antitetico del Male. In tale schema il Lorenzo Fontana di turno è il male non per gli atti che ha compiuto ma perché professa un pensiero che nega la verità dogmatica del “Bene”. Ora, se il “Bene” è l’accettazione dei codici del relativismo etico, della costruzione sociologica dell’identità di genere, dell’annichilimento dell’idea di Patria, della religione laica dell’immigrazionismo, della negazione della diversità e della corrispondente esaltazione del conformismo egualitario omologante, Lorenzo Fontana non può che essere il male assoluto, nell’accezione che del male dà Sant’Agostino. Cioè, Male come privazione del Bene.

Seguendo questa logica, ogni azione volta a sconfiggere il nemico ontologico è moralmente ammessa. Quindi, dare della bastarda a Giorgia Meloni, dell’aguzzino a Ignazio La Russa, del troglodita a Lorenzo Fontana non è un’infamia ma l’anelito virtuoso al Bene dei costruttori di pace. La loro “pace”. Se gli odierni progressisti credono sinceramente che il dio dei buoni sia dalla propria parte, perché non incidono sulle fibbie delle cinture il grido d’arme “Gott mit uns” – Dio è con noi – come fecero i nazisti nel 1936? In fondo, in quanto a rispetto dell’altro, ad amore per la libertà e per la democrazia, non è che i progressisti di oggi siano così lontani dai totalitaristi di ieri.

Tuttavia, se siamo giunti a questo punto non è solo merito loro. C’è stata una destra di pensiero che non ha fatto il suo dovere lasciando che il nemico occupasse gradualmente, fino a saturarli, tutti gli spazi e i luoghi del confronto democratico. Se oggi dirsi conservatore equivale a una parolaccia, esprimere un’idea tradizionalista corrisponde a diffondere un’eresia, la responsabilità è solo in parte ascrivibile al pugno di ferro con il quale la sinistra ha represso il pensiero critico, eterodosso. La colpa è anche dell’intelligenza di destra che non ha avuto la voglia, talvolta il coraggio, o semplicemente l’interesse a gridare le proprie ragioni, a farsi sentire dagli italiani intorpiditi dagli allucinogeni della cancel culture e dell’ideologia del progressismo. Il male oscuro degli intellettuali di destra è stato ed è il solipsismo. Innamorati del proprio pensiero metafisico, non accessibile alla volgarità delle miserie umane, hanno gigioneggiato immaginandosi uomini tra le rovine. Ma si sono ben guardati da affondare le mani, e i cuori, tra quelle macerie. La convinzione di essere monadi del tutto impermeabili alle influenze della realtà esterna, l’intima certezza della propria superiorità spirituale rispetto a un mondo corrotto, la scarsa se non nulla propensione al dialogo ha fatto sì che la macchina da guerra dell’intellettualità organica all’ideologia prima comunista, poi egualitaria-progressista, prendesse il sopravvento piazzando le sue pedine non solo negli avamposti del pensiero filosofico e scientifico – le università – ma in tutti i luoghi dove si fabbrica la cultura. La Rai, le principali emittenti private, le redazioni dei grandi giornali, gli istituti di promozione culturale, gli enti teatrali, lirici, musicali, cinematografici, museali, sono affollati di operatori che rispondono al pensiero unico, politicamente corretto, del Bene progressista. Quei pochi, pochissimi schierati a destra e visibili al grande pubblico sono Rara avis in gurgite vasto. Nella partita della trasformazione della società post-industriale, la destra di pensiero non ha toccato palla.

D’altro canto, il fallimento del progetto di cambiare verso al Paese dei primi governi di centrodestra trova una parziale spiegazione nella sottovalutazione, nel tempo storico del berlusconismo, della centralità delle politiche culturali per la costruzione della coesione comunitaria. Oggi, un tale errore non deve essere ripetuto. È tempo di smantellare i santuari del potere della sinistra, senza alcun timore reverenziale. È un atto di liberazione che vale cento, mille “Bella ciao”. La maggioranza degli italiani, al netto degli astenuti, ha votato la destra per essere libera, ma non lo sarà fin quando ogni individuo che lo voglia non potrà urlare dai tetti un convinto, mazziniano, “Dio-patria-famiglia” senza per questo essere equiparato dalla compagnia del Bene progressista alla bestia immonda e aborrita dell’Apocalisse giovannea.

Non siamo così ingenui da pretendere che questa rivoluzione si compia con uno schiocco di dita. Ci vorrà tempo. Ma bisogna che si cominci, che si metta mano a liberare gli spazi d’opinione e d’informazione attraverso i quali far giungere agli italiani un messaggio alternativo, che smascheri la vera natura del Bene, impersonato per decenni dalla sinistra, simulacro di falsi idoli, del vitello d’oro concepito per ingannare. Dal voto emerge prepotente una domanda di speranza perché un’altra visione del mondo sia possibile e una spiritualità vissuta coerentemente sia praticabile. Lorenzo Fontana, nel suo discorso d’investitura, ha lanciato un messaggio che va raccolto: fedeltà alla Tradizione e riconoscenza dovuta alle generazioni che hanno costruito la civiltà, che è ciò che siamo. Sono i punti di forza dell’essere umano e non la manifestazione di una debolezza della quale vergognarsi. Lui si è messo senza ambiguità dalla parte degli spiriti liberi. E noi con lui.


di Cristofaro Sola