Pd: partito dall’identità ignota

mercoledì 12 ottobre 2022


Il Governo di centrodestra non dovrà fare i conti soltanto con l’emergenza assoluta indotta dalla crisi energetica e con l’esplosione della bolla inflattiva. C’è qualcosa di epocale nel destino della nuova maggioranza parlamentare che, se colta nel verso giusto, aprirà una lunga stagione segnata dalla centralità del progetto liberal-conservatore di società. La novità sta nel fatto che, superata la fase critica e stabilizzato l’andamento economico nazionale, la destra non dovrà limitarsi a curare il suo tradizionale blocco sociale di riferimento ma dovrà preoccuparsi di dare risposte e identità anche a quell’ampio segmento di società che l’attuale sinistra ha smesso di rappresentare. Il pensiero va alla crisi identitaria del Partito Democratico che è deflagrata nelle urne lo scorso 25 settembre. Benché il maggiore partito della sinistra abbia retto nei numeri rispetto alle elezioni del 2018, la sua disfatta è stata di natura politica. E viene da lontano. L’identità di una formazione partitica è caratterizzata dall’insieme degli interessi che vuole rappresentare.

Ora, la domanda è: chi vota per il Pd? Secondo un’indagine statistica dell’Ipsos, del novembre 2021, la costituency del primo partito della sinistra è formata dai ceti dirigenti e dai pensionati, in prevalenza provenienti dall’alta-media borghesia. Tuttavia, sostenere, come propongono alcune sintesi giornalistiche, che gli epigoni del comunismo e del popolarismo cattolico si siano ridotti a essere il “partito della Ztl”, cioè il riferimento elettorale dei ceti agiati residenti nei quartieri eleganti delle città, è suggestivo ma superficiale. Il nodo della crisi della rappresentanza ha radici profonde e coinvolge la natura stessa del paradigma socialdemocratico in Europa, a cui il Pd nelle intenzioni si richiama. Non è un caso che quella dei “dem” sia solo l’ultima, in ordine di tempo, delle crisi che hanno colpito la famiglia politica del socialismo continentale. Si pensi alla Francia dove la grande tradizione del Partito Socialista francese si è dissolta come neve al sole. La principale causa della perdita d’identità è rinvenibile nel distacco del socialismo dal suo storico blocco sociale di riferimento che è stato il proletariato. Abbandonato fin dall’Ottocento il dogma marxiano secondo cui la maturazione della società capitalistica avrebbe portato alla scomparsa delle classi intermedie e della borghesia per restringere la partita a uno scontro diretto tra capitalisti e proletariato, il socialismo riformista del Novecento ha teorizzato che l’aumento della ricchezza redistribuita all’interno della società democratica avrebbe condotto i ceti medi a una mutazione sociale in senso progressista, non già alla loro scomparsa. Il rapporto con la borghesia, anche in età di “eurocomunismo” perifrasi berlingueriana della transizione al socialismo democratico del Partito comunista italiano, era incastonato nella cornice di un’alleanza strategica di lunga durata non pregiudizievole dell’obiettivo finale, non espunto dal nuovo corso ideologico, della conquista del potere. Abbandonata la strada della rottura traumatica dell’ordine sociale, l’affermazione egemonica della classe operaia sarebbe stata portata al successo dal riformismo graduale del socialismo attraverso il processo democratico non violento. L’avvento della globalizzazione che, nel nome del mercato unico, ha annullato le distanze tra Stati e tra economie nazionali, la rivoluzione tecnologica che ha modificato radicalmente i processi produttivi, l’informatizzazione e la robotizzazione del lavoro che hanno determinato una drastica contrazione dell’impiego di manodopera salariata, hanno portato alla mutazione genetica della condizione operaia. I lavoratori si sono evoluti professionalmente e socialmente e hanno assunto gli stili di vita consumistici tradizionalmente appartenuti ai ceti piccolo-borghesi. La modernizzazione nei costumi, il rimescolamento della gerarchia delle priorità individuali, hanno condotto molti di coloro che un tempo formavano la classe operaia a un cambiamento dei propri riferimenti politici, ben oltre il tradizionale steccato delle ideologie classiste. Il citato sondaggio Ipsos sulle intenzioni di voto ha evidenziato lo spostamento del voto operaio dalla sinistra alla Lega (27,8%), mentre sarebbe rimasto in capo al Pd lettiano soltanto l’8,2 per cento del consenso delle “tute blu”. Un dato statistico in linea con ciò che è accaduto in Francia nel recente passato dove nei dipartimenti industriali del Nord-Est, un tempo feudi elettorali del Partito Comunista francese, si è radicata la presenza del Rassemblement National di Marine Le Pen. Lo scorso 25 settembre quel voto operaio, già trasmigrato nella Lega di Matteo Salvini, non è tornato a sinistra ma, come dimostra l’analisi dei flussi elettorali svolta dall’Istituto Cattaneo, è stato “cannibalizzato” da Fratelli d’Italia. La risposta della sinistra allo smottamento ideologico e politico è stata evanescente. Peggio, rinunciataria. Il Pd ha virato in direzione della rappresentanza dei diritti civili lasciando libero il campo della difesa dei diritti sociali. Un riposizionamento strategico che qualcuno ha rimarcato con sottile ironia definendo il Pd lettiano un Partito Radicale di massa.

Ora, dovremmo chiederci: cosa c’entra tutto questo con il centrodestra? C’entra, eccome. Perché la defezione politica e ideale della sinistra lascia senza rappresentanza un segmento importante della società nel momento nel quale esso si predispone a sommare le proprie istanze a quelle delle fasce sociali deboli attualmente presidiate dai ceti medi produttivi impoveriti dagli effetti della globalizzazione selvaggia e dal succedersi delle crisi. Si tratta della piccola borghesia alla quale la stessa classe operaia, negli anni d’oro dell’ubriacatura consumistica, aveva guardato per la trasformazione dei propri stili di vita. Adesso quel terreno di conquista del consenso è contendibile. Ma non deve accadere che giunga ad aggredirlo un movimento camaleontico e qualunquista qual è il partito di Giuseppe Conte. Lo Zelig della politica, dopo i numerosi cambi di pelle, si candida a guidare l’opposizione sociale al nascente Governo di centrodestra. Conte, galvanizzato da un risultato elettorale inaspettato, è pronto a fondere l’insoddisfazione per la condizione generale del Paese alla rabbia della gente comune colpita nelle sue elementari certezze e a farne una miscela esplosiva. Il nuovo Cinque Stelle punta ad aizzare le pulsioni irrazionali delle nuove povertà, dei socialmente deboli e dei dimenticati dalla globalizzazione. La parola ribellione, associata a un indistinto pacifismo di marca terzomondista, fa capolino nel lessico contiano. Ciò che più deve preoccupare è che vi sia un “popolo degli abissi”, per usare un’espressione cara al professore Giulio Sapelli, pronta a venire alla luce per travolgere gli equilibri sociali in essere. Si tratta di una massa che in buona parte si è tenuta lontana dal dibattito democratico ed è rimasta rintanata nell’area dell’astensione alle ultime elezioni, ma che in altra parte negli anni è stata elettoralmente dinamica rendendosi protagonista di ripetute peregrinazioni attraverso le formazioni partitiche che, di volta in volta, promettevano sconvolgimenti degli assetti istituzionali consolidati nonché rivoluzioni anti-sistema e guerra senza quartiere alle élite interne ed europee.

Il Governo che sta per nascere non ha molto tempo a disposizione per impedire che un politicante minuscolo, qual è Giuseppe Conte, si erga a difensore degli oppressi e con eloquio tribunizio si ponga alla testa di un’onda anomala di malcontento popolare. Il crollo identitario del Pd gli facilita il compito. Non saranno Enrico Letta e compagni a incanalare la protesta sociale nell’alveo dell’opposizione parlamentare. Ecco perché dovrà essere la nuova maggioranza ad aprire tempestivamente canali di dialogo con gli ultimi e i dimenticati dallo sviluppo economico prima che un incendiario li convinca ad appiccare il fuoco alla casa comune. Per il centrodestra sarà un lavoro improbo. Ma da quando le grandi imprese sono state tali senza prima essere sofferte?


di Cristofaro Sola