La lezione di Arturo Diaconale

domenica 9 ottobre 2022


I liberali sono la prova dell’esistenza di una democrazia. E lo sono perché hanno idee diverse, discutono e litigano. Liberali e socialisti non sono mai riusciti a diventare e restare partiti di massa perché flagellati dalle scissioni le quali sono un effetto collaterale della libertà. Paradossalmente, un vero partito liberale non sa resistere alla tentazione di frantumarsi e alla nostalgia di riunificarsi. Io e Arturo siamo rimasti amici per la vita, ma abbiamo anche avuto idee diverse durante un vero congresso come ormai non se ne fanno più, nel corso del quale vociammo in un clima elettrico ed effervescente, con parole grosse e altre affettuose. E tutto si risolse con una libera elezione in cui non importava più chi avesse vinto. In quel caso Arturo e io ci trovammo divisi e amici e rimasi pietrificato quando appresi della sua morte che portò via con sé una parte della nostra identità e della memoria. Arturo era un uomo pacato da combattimento.

Era liberale per formazione genetica e si collocò naturalmente nelle posizioni di centrodestra e strettamente connesse con Forza Italia per il semplice motivo che lì stava e ancora restava e oggi resta il germe liberale. Quando la tremenda operazione Clean Hands, in italiano Mani pulite – perché fu concepita fuori d’Italia allo scopo di spazzare via la vecchia classe dirigente per sostituirla con quella fresca dell’ex partito comunista – fu lanciata all’inizio degli anni Novanta, il risultato finale fu l’abbattimento di tutti i partiti democratici e liberali che avevano ricostruito l’Italia nel Dopoguerra, dalla Democrazia cristiana divisa in correnti, ai socialisti, ai liberali. Un libro mai tradotto in Italia, ma diffuso negli Stati Uniti, si intitolava The Italian guillotine, la ghigliottina italiana che spazzò via tutto quanto di liberale era rimasto vivo e vitale dopo la guerra.

Da allora cominciò la storia politica di un’Italia percorsa da sentimenti violenti di guerra civile mentale e di scontri in gran parte prefabbricati come bombe ad orologeria. Arturo dirigeva L’Opinione e mi fece l’onore di farmi collaborare come editorialista per molto tempo. Quando passai a Il Giornale proseguimmo le nostre battaglie comuni su fogli diversi.

Un ricordo non è un necrologio perché noi tutti ricordiamo Arturo attivo, solido, concreto, idealista di quell’ideale molto speciale che consiste nel riconoscimento della libertà come valore fondante. La libertà è una parola facile, va bene per le lapidi, è una piazza o una strada che non si nega a nessuno, ma invece è uno dei valori più delicati e difficili da mantenere vivi. Quando andai a vivere a Praga per qualche mese durante la caduta del regime comunista, con mia grande sorpresa scoprii che i boemi erano terrorizzati e infelici all’idea che arrivasse questo mostro che è la libertà, qualcosa che ti obbliga a fare delle scelte, assumerti responsabilità, correre rischi e spesso pagare prezzi. Istintivamente le società non sono liberali. In genere le persone desiderano giustamente vivere la loro vita in modo tranquillo e sicuro. Società illiberali promettono sempre sicurezza in cambio della rinuncia della libertà. Di questo discutevamo sempre con Arturo perché ci rendevamo conto, e lui per primo, che è difficilissimo mantenere alimentato quel fuoco perché le folate del vento illiberale passano e quando passano è il momento in cui tutti si dicono liberali. Come oggi. Letta? Liberale. Calenda e Renzi, non sia mai. In Spagna si diceva “Todos caballeros” e da noi “Tutti liberali”, tanto, che cosa costa.

Arturo fece una bella trasmissione che si chiamava Ad armi pari su RaiTre ed era sempre sullo schermo anche per la difesa sindacale della libertà di stampa, sempre in pericolo se non si adegua al mainstream, al racconto prefabbricato cui tutti sono pregati di attenersi, pena la messa al bando e alla gogna. Da liberale istituì il “Tribunale Dreyfus”, che riecheggiava il “Tribunale Russell” contro gli abusi giudiziari. Oggi saremmo certamente insieme in questa nuova avventura che nasce sotto il buon segno del simbolo originario del Pli, proprio mentre questo partito compie cento anni di vita organizzata. Tralascio – per mia totale incapacità di tifoso sportivo – quella parte importante della vita di Arturo che dedicò alla Lazio cui lui credeva come una religione elegante e civile. E poi i suoi libri pubblicati da Rubettino sulla promessa di un’Italia liberale e nel 2018 l’irriverente, e indimenticabile Santità! Ma possiamo continuare a dirci cristiani? Il titolo della vecchia testata si era trasformato in L’Opinione delle libertà e sua fu l’idea di costruire una “Casa laica” da offrire a tutte le forze democratiche refrattarie alla vulgata delle sinistre.

La sua qualità più robusta, e non per caso era abruzzese, fu e rimase quella di non mollare mai e di costruire percorsi liberali nuovi, provare e riprovare a rimettere insieme tutti i liberali dissolti e scompagnati, impresa praticamente irrealizzabile perché i liberali sono di loro natura teste matte perché pensanti, a differenza delle persone vagamente di sinistra, che si ritrovano con grande spontaneità sulla ricetta illiberale: togliere la ricchezza a chi ce l’ha e trasferirla a chi non ne ha, ma dimenticando di proteggere chi la produce.

Ciò che di Arturo mi colpiva di più era la straordinaria combinazione fra la fermezza calma e la creatività politica. Era anche un eccellente organizzatore, e, insieme, un uomo capace di visioni politiche fortemente ideali e altrettanto concrete. Poi, sapeva battersi per realizzarle. La sua vita è stata sempre costante, ma in salita. Il suo lascito è attualissimo e palpitante, come del resto il suo carattere schiettamente liberale, perché sapeva difendere i suoi progetti con forza razionale e anche concedere sempre una via d’uscita agli avversari. Mai come adesso, Arturo è con noi e noi con lui mentre avviamo questo grande progetto di rinascita non soltanto simbolica, ma finalmente concreta come la sua “Casa Laica”.


di Paolo Guzzanti