Le buone ragioni di Salvini

martedì 4 ottobre 2022


Non ho personali ragioni per essere particolarmente contento degli esiti elettorali, ma sostengo con convinzione Matteo Salvini. La presenza nel Governo Draghi ha rappresentato un onorevole sacrificio, non un errore, perché se la Lega non ci fosse stata avremmo avuto un Esecutivo tutto a sinistra, la patrimoniale, una maggiore invasione incontrollata, la quarantena permanente, il blocco dei cantieri e il Ddl Zan. Se errori ci sono stati (e chi non ne fa?), forse il principale è stato solo una certa sottostima del peso dell’elettorato borghese.

Matteo Salvini, in ogni caso, resta l’esponente maggiormente in grado di unire tutte le sensibilità leghiste in una visione di lungo periodo e, inoltre, di saper esercitare una leadership. Ma credo che il principale motivo di riconoscenza per Salvini sia un altro, perché per me la Nazione (nel più profondo la Patria) è un valore fondamentale, irrinunciabile, insieme alla Libertà. E Salvini ha operato quella svolta nazionale della Lega, che ha unito il Paese e che ha permesso a tanti Italiani di votarla per la prima volta. Se oggi una Lega, che oscillava tra il 4 e il 10 per cento, è tra il 9 e il trenta, il merito è in gran parte suo. Di questo tutti dovrebbero essergli grati.

L’autonomia, certo, è importante nella storia leghista, ma non si deve mai lasciare spazio alle interessate speculazioni delle sinistre che cercano di dare l’impressione dell’esistenza di tendenze antiunitarie, perché il Patriottismo italiano c’è ed è ben vivo nella Lega, al Nord come al Sud. Bene Salvini, dunque, al Governo e alla guida del partito. Tra cinque anni, casomai, ne riparleremo. Salvini, in più, ha il grande vantaggio di avere una reale classe dirigente, preparata, rodata e affiatata. E allora deve non solo ascoltarla, cosa che già fa più che non si creda, ma anche valorizzarla lui per primo. Con i grandi media, italiani e internazionali, generalmente avversi, è facile, ogni volta che un esponente leghista parla, far credere che la sua sia in fondo una posizione personale differenziata da quella del leader, anche quando non è per niente vero, ma tutto questo non potrà durare a lungo se sarà proprio Salvini a continuare a mettere in evidenza – e a sottolineare – le qualità e le posizioni dei suoi uomini.

Il filone liberista e insieme sociale (anzi davvero sociale proprio perché liberista), ad esempio, che da Giancarlo Pagliarini ad Andrea Crippa fino a Giancarlo Giorgetti, da Claudio Durigon al capogruppo Riccardo Molinari, è sempre stato presente nelle sue radici e nei suoi programmi. È una componente essenziale della visione leghista ed è di tutti, non solo di alcuni. Così come l’europeismo, che è tradizionale nella Lega e da ben prima della recente conversione di una sinistra che, per decenni, ha invece avversato la costruzione europea. L’Europa che la Lega vuole è però un Vecchio Continente in cui i cittadini di tutti i Paesi membri siano posti su di un piano di parità reale, in cui il maggior peso di Francia e Germania non si risolva in più diritti per chi è francese o tedesco e questo, in pratica, si può ottenere se il potere effettivo passa dal Consiglio europeo, che è una struttura interstatale in cui contano i Paesi maggiori, a una struttura federativa più democratica e più basata sulla sussidiarietà. La costruzione europea può procedere più o meno rapidamente, può anticipare o meno la nascita di un sentimento di cittadinanza europeo, può velocemente o solo molto lentamente arrivare a mettere in comune il seggio permanente all’Onu e l’armamento strategico. Ma quello che non può e non deve fare è mortificare le identità e gli orgogli nazionali. L’intelligenza politica consiste, prima di tutto, nel saper armonizzare molti valori in una visione comune. Visione che però deve esserci, se non si vuole che un partito risulti solo un insieme di interessi organizzati, inevitabilmente destinato, prima o poi, a corrompersi e svanire. E allora la visione più compatibile con la tradizione leghista e la sua evoluzione, è, di fatto, quella storicamente liberale. Salvini stesso, in più occasioni, ha parlato di “rivoluzione liberale” e di “alternativa liberale”, dimostrando una volta di più il fiuto politico che non gli manca. E soprattutto annullando i maldestri tentativi della sinistra italiana di mascherare il fatto di essere quella più illiberale di tutto l’Occidente.

Se Salvini procederà sulla via di un “liberalismo popolare e nazionale”, capace di portare l’Italia a rompere, al suo interno, i troppi lacci e lacciuoli che bloccano lo sviluppo e, all’esterno, di mostrare una maggiore capacità assertiva nell’Unione europea e in generale in politica estera, i risultati per la Lega non mancheranno. Ma per far questo è anche fondamentale la scelta delle alleanze, dei compagni di strada, non solo in Italia ma in Europa. Non si tratta affatto di abbandonare le tradizionali convergenze, ma casomai di provare a unire a queste delle nuove alleanze, con i gollisti e con i cristiano-conservatori tedeschi, per riprodurre anche in Europa quell’alleanza di centrodestra, che è la necessaria cintura di contenimento di una sinistra non solo poco democratica, ma così nichilista nel suo “cupio dissolvi” da minacciare non solo il benessere ma la stessa coesione sociale delle libere comunità europee. La pace, che è davvero la prima priorità in epoca di bombe atomiche, è stata sempre la – più che giustificata – preoccupazione di Salvini. E oggi, in Ucraina, è proprio soprattutto con una maggiore cooperazione con tedeschi e francesi che si può raggiungere questo risultato, senza apparire a torto velleitari o inaffidabili.

Gli uomini e le donne che possono dare un contributo nella Lega già ci sono. Persone con le più svariate competenze, anche molto solidali e legate tra loro, devono diventare sempre di più classe dirigente. La Lega non può più essere un partito di nicchia, si deve consolidare e crescere per quello che è già: un grande partito nazionale. E al suo capo carismatico deve continuare ad affiancare un adeguato stato maggiore. Il centrodestra, che con Giorgia Meloni ha appena ottenuto una grande vittoria, ha ottenuto un risultato che è stato di tutti i partiti della coalizione, perché il suo elettorato è in realtà molto indifferenziato e compatto. E fa poca (e solo momentanea) distinzione tra i partiti maggiori. Ma adesso, però, si tratta di governare e di governare bene e, per la Lega, di scegliere il suo ruolo, che non può essere che quello di un liberalismo popolare che guardi alle comunità e alle partite iva, senza mai dimenticare il quadro nazionale.

Salvini è – e resta – il miglior interprete di questo popolo, anche per la capacità di parlar chiaro su tutti i temi, dall’immigrazione, al garantismo, all’energia nucleare (e su quest’ultima materia credo di sapere cosa dico). Anche perché non è affatto solo, ma affiancato, ricordiamolo ancora, da tutti quegli sperimentati dirigenti che da tempo amministrano. E bene. Da anni mi adopero, non perché la Lega “diventi liberale”, ma perché acquisti la consapevolezza di esserlo da sempre, per essere riconoscibile – in tutta la Nazione – dalla gente che vuole restare libera. Libera di vivere, di crescere, di intraprendere, di essere padrona a casa sua.


di Giuseppe Basini