lunedì 5 settembre 2022
Era il 2014 quando dalle colonne di questo stesso giornale Arturo Diaconale, in qualità di presidente del Tribunale Dreyfus, e l’avvocato Valter Biscotti scrissero una lettera aperta a Matteo Renzi, allora presidente del Consiglio, per denunciare limiti e carenze del sistema giustizia.
“Le linee guida della riforma della Giustizia predisposte dal ministro Andrea Orlando non segnano un’inversione di tendenza rispetto alla deriva giustizialista in atto ormai da alcuni decenni. Indicano, al contrario, la volontà di dare vita ad un’ennesima spinta a trasformare lo Stato di diritto fondato sulle garanzie dei cittadini in uno Stato autoritario incentrato sulla supremazia della casta ristretta dei magistrati. Il Tribunale Dreyfus mette in guardia il Governo e la maggioranza dal procedere nella realizzazione di provvedimenti d’ispirazione controriformista. Ribadisce che non può esserci una vera riforma della giustizia senza affrontare le tematiche sottoindicate e senza prevedere, a completamento del disegno riformatore, una adeguata ed inderogabile amnistia”.
A distanza di 8 anni, e nonostante la riforma Cartabia, le problematiche sulla giustizia sono rimaste le stesse. Per questo vogliamo ribadire gli stessi punti programmatici che dovrebbero essere portati avanti da qualsiasi nuovo Governo verrà eletto dopo il voto del prossimo 25 settembre.
1) La responsabilità civile dei magistrati, per l’uguaglianza tra i cittadini senza privilegi di casta;
2) Il rientro nelle funzioni proprie dei magistrati fuori ruolo, per più magistrati in servizio nei Tribunali;
3) L’abuso della custodia cautelare, per il rispetto del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza;
4) Riforma del Csm, per liberare la magistratura dalla mala politica delle correnti;
5) La separazione delle carriere dei magistrati, per eliminare la contiguità tra giudicanti e Pubblici ministeri;
6) Revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale, per abolire la pratica dell’arbitrarietà esercizio dell’azione penale;
7) Garantire l’equilibrio corretto tra i poteri dello Stato, per rispettare la volontà dei padri costituenti e scongiurare la Repubblica dei pm;
8) Rottamazione cause civili pendenti attraverso camere arbitrali private, per smaltire l’arretrato della giustizia civile;
9) Instaurazione delle procedure di negoziazione assistita, per nuovi modelli di contenzioso civile più veloce;
10) Abolizione dell’ergastolo, per assicurare una effettiva rieducazione nel rispetto per le vittime;
11) Abolizione reato concorso esterno, per chiudere la fase dell’emergenza e combattere la criminalità non con le leggi speciali ma con la democrazia;
12) Intercettazioni e tutela del diritto alla riservatezza dei cittadini, per abolire la piaga della gogna mediatica che anticipa la pena senza alcun giudizio.
Prendiamo nuovamente a prestito le parole dello storico direttore di questa testata, scritte nel 2019, per chiarire (ove ce ne fosse bisogno) alcuni concetti fondamentali: “Essere garantisti non significa essere innocentisti. L’innocentismo è molto spesso la reazione estrema al colpevolismo esasperato. Quello che ad inizio di inchiesta viene gonfiato a dismisura dai media ormai abituati a trasformare in verità inconfutabile le ragioni dell’accusa senza prendere in minima considerazione che la difesa deve ancora esprimersi. E che provoca, come inevitabile effetto pavloviano, l’arroccamento sull’innocentismo da parte degli amici degli imputati e di chi considera un fenomeno degenerativo della giustizia in una democrazia liberale il rapporto di forza totalmente sbilanciato in favore dell’accusa rispetto alla difesa nella fase iniziale delle indagini. Questo strapotere dell’accusa sulla difesa era il fondamento degli Stati assoluti ed il pilastro su cui poggiano tutti gli Stati autoritari. Quelli in cui le leggi sono emanate e fatte applicare dai poteri supremi e servono a tutelare i poteri stessi sulla pelle dei normali cittadini. Nelle democrazie liberali, invece, le leggi hanno come fondamento costituzionale la difesa delle garanzie individuali da ogni forma di strapotere eccessivo dello Stato. Di qui, per chiunque non sia nostalgico dello Stato del sovrano assoluto o non scambi la legalità con la difesa del potere negli Stati totalitari, il garantismo inteso come tutela del cittadino da ogni forma di prevaricazione compiuta ai suoi danni da parte delle istituzioni. Scambiare il garantismo per innocentismo è tipico dei giustizialisti. Cioè di chi disprezza la democrazia in cui la legalità è rappresentata dalla tutela delle garanzie individuali e crede nello Stato etico dove le leggi non vengono fatte per difendere i cittadini, ma solo chi ha il potere e non vuole perderlo”.
Anche se Arturo Diaconale non è più tra noi e l’attività del Tribunale Dreyfus si è fermata, la sua battaglia per la giustizia giusta non può, non deve e non sarà dimenticata.
di Claudia Diaconale