Retorica antifascista

venerdì 29 luglio 2022


La sinistra è in stato confusionale, divisa com’è tra “l’agenda Draghi” e la “patrimoniale” piuttosto che tra il “campo largo” con il Movimento Cinque Stelle o l’ammucchiata con i cespugli centristi che contribuiscono all’alleanza più con i veti che con i voti. Nulla di nuovo sotto il sole, a memoria non si ricorda mai un blocco progressista coeso nelle alleanze e coerente nei programmi.

In genere, approssimandosi il periodo elettorale e di fronte alle contraddizioni di sempre, i cosiddetti democratici provano a buttare la palla in calcio d’angolo, dapprima plasmando una legge elettorale che danneggi gli avversari (e permetta loro di andare al Governo senza vincere) e poi agitando il pericolo fascista in assenza di fascismo. Questa volta sono stati colti di sorpresa e non hanno potuto avvelenare i pozzi delle regole. Ragion per cui resta solo la menata retorica sul fascismo, argomento su cui stanno investendo tutte le proprie forze: un magma indigesto di frasi fatte che inondano i social e che spaziano dallo sciocchino qualunque indottrinato e voglioso di fare propaganda pecoreccia, fino al sedicente vip voglioso di schierarsi per poter continuare a lavorare e che agita il pericolo antidemocratico in caso di vittoria delle destre.

Un pappone retorico che giunge in orario sotto elezioni “manco fosse un treno del Ventennio”, svanendo il giorno dopo il voto e risultando addirittura controproducente. I poveri elettori ne hanno le pere abbondantemente piene di certi giochetti verso i quali nella migliore delle ipotesi restano indifferenti, preferendo invece in taluni casi premiare per reazione proprio quei pericolosi fascisti oggetto di propaganda furbetta e a buon mercato. A sinistra sembrano proprio non arrivare a capire che la retorica antifascista non funziona ed è per questo che ci si buttano dentro con convinzione o forse con disperazione. Si va dal “cretinetti” che evoca i manganelli e l’olio di ricino degli anni Trenta (un tentativo vecchio e imbarazzante) fino ad arrivare a chi vede le elezioni come una guerra tra buoni (la sinistra) e cattivi affaristi (la destra) in un sussulto di puerilità anche un po’ cialtrona.

Al teatrino della propaganda sovietica non possono ovviamente mancare i giornaloni sempre pronti a gettare fango nel ventilatore buttandola sul personale con finti scoop sulla vita privata del leader del momento. Oggi la prescelta è Giorgia Meloni – oggetto di scherno nell’indifferenza delle femministe – verso cui non si lesinano colpi bassi anche con allusioni sessiste. Ma la ciliegina sulla torta ha provveduto a metterla il solito Carlo De Benedetti che, sul Corriere, ha evocato la catastrofe in caso di vittoria delle destre, alludendo all’ostilità delle principali cancellerie europee (oltre che dell’Amministrazione Biden) come se fosse normale o tollerabile votare secondo le preferenze dei nostri partner internazionali o, in caso contrario, averceli contro.

È il caso di ritrarre in questa poco allegra foto di famiglia anche qualche personaggio dello spettacolo che “tiene famiglia” e che deve lavorare e pensa di avere più chance, partecipando alla campagna elettorale insultando i conservatori più che sponsorizzando i progressisti, cosa che sarebbe in fin dei conti accettabile ed annoverabile nella libera manifestazione del proprio pensiero. È con un certo imbarazzo che citiamo anche la “pastasciutta antifascista” di Nicola Fratoianni apparsa qualche giorno fa sui social, che ci ha fatto pensare quanto a questo quadro desolante manchi il solito fascicolo aperto dal solerte magistrato di turno, voglioso di prendere parte alla campagna elettorale contro la destra. Sarebbe il giusto coronamento ideologico per una sinistra puerile, che ha bisogno di evocare la catastrofe per combattere il nemico, escludendo di poter chiedere il consenso agli elettori sapendo bene di essere impresentabile.


di Vito Massimano