Draghi: tecnico populista

venerdì 29 luglio 2022


A ben guardare, il più populista dei populisti italiani è proprio Mario Draghi, vale a dire colui la cui caduta viene imputata ai populisti (e ai sovranisti). La cosa è solo apparentemente paradossale, avendo invece una sua precisa ragione che vale la pena di essere esaminata brevemente. Infatti, se è populismo fare genericamente appello al popolo e alle istanze più primitive di questo (sfamarsi, divertirsi), evitando accuratamente ogni ragionamento politico puntuale e specifico, allora Draghi è stato populista almeno in due occasioni: la prima, in modo indiretto nel gennaio scorso; la seconda, in modo diretto nel corso della sua replica in Parlamento in occasione del voto di fiducia. Dal primo punto di vista, se ricordate bene, Draghi, nel pieno delle vicissitudini dovute all’elezione del Capo dello Stato, anche allo scopo di agevolare il proprio desiderio di ascendere al Quirinale, ebbe a precisare che il suo lavoro a Palazzo Chigi era quasi ultimato e che chiunque – cioè appunto chicchessia dell’abbondante e variopinta fauna politica che popola i palazzi del potere – avrebbe potuto prendere il suo posto. Dichiarazione sorprendente, se proveniente – come di fatto proveniva – da un capo del Governo internazionalmente stimato per la sua serietà e la sua diligenza assurte quasi a dogma di fede. E dichiarazione di sapore populistico, se apertamente affermava la surroga del capo del Governo affidabile a chiunque del popolo, non connotato da alcuna virtù civica o politica.

Dal secondo punto di vista, nel corso della sua replica in Senato – dopo che Giuseppe Conte aveva già minacciato il suo ritiro dalla compagine governativa – Draghi ebbe a esclamare che lui si trovava a Palazzo Chigi perché gli italiani lo volevano là. Proprio così: non i partiti della maggioranza; non il Parlamento; ma gli italiani, il popolo nella sua indeterminata consistenza, nella sua impalpabile e vaporosa coscienza politica. Vertice del respiro populista di un politico quello appena accennato, in forza del quale chi siede a Palazzo Chigi possa esclamare davanti a tutto il Parlamento e davanti a tutte le televisioni nazionali e mondiali che egli trae la propria legittimazione direttamente dal popolo e che, di conseguenza, se i parlamentari non capiscono questo fenomeno così semplice è soltanto colpa loro. In questo modo, davvero il populismo diviene strumento di Governo destinato a legittimare un primo ministro che, invece, quella legittimazione ha perduto già nei fatti.

Ma siccome Draghi è persona certamente avveduta e di grande intelligenza, ci si chiede come mai abbia egli fatto ricorso a un armamentario così rozzo e politicamente primitivo, allo scopo di convincere i partiti della sua permanenza a Palazzo Chigi. La risposta possibile mi pare univoca: perché egli desiderava in realtà lasciare Palazzo Chigi il prima possibile. E ciò credo per tre ragioni complementari. La prima. Perché si delinea un autunno difficilissimo con il probabile razionamento del gas anche per le famiglie. La seconda. Perché la prossima legge finanziaria sarà lacerante per le contraddizioni fra i partiti. La terza. Perché Draghi non è un politico e non lo è diventato certo ora. Meglio allora andarsene.


di Vincenzo Vitale