lunedì 18 luglio 2022
L’inflazione continua a galoppare. Negli Stati Uniti il consumer price index ha raggiunto un picco del 9,1 per cento, in Europa dell’8,6 per cento e anche nel nostro Paese, l’Italia, l’indice dei prezzi è in continua ascesa. Pur essendo le ragioni plurime, non possiamo mai scordarci che l’inflazione è sempre e ovunque un fenomeno monetario. Si tratta di uno dei punti enunciati con maggiore enfasi da Milton Friedman, premio Nobel dell’Economia nel 1976. Questo non vuol dire, però, che ogni aumento nell’offerta monetaria debba tradursi meccanicamente in un rialzo – per lo più proporzionale e immediato – del livello dei prezzi. Significa, semplicemente, che un aumento generalizzato nel prezzo dei beni e dei servizi ha necessariamente la sua origine in un cambio nella relazione tra la domanda e l’offerta di denaro. Altrimenti, la teoria quantitativa del denaro che trova la sua origine in Niccolò Copernico lascerebbe il tempo che trova.
A smentirla sarebbe sempre la stessa storia. Gli anni che hanno preceduto la Grande depressione del 1929 e quelli posteriori alla crisi dei subprime (2007-2008), ad esempio, furono anni di grande espansione monetaria e al tempo stesso di stabilità nei prezzi al consumo. Lo stesso possiamo dire a proposito di quanto è successo fino all’arrivo del Covid-19: nonostante le politiche ultra-espansive delle Banche centrali, il denaro ha evitato di deprezzarsi notevolmente.
Lungi dallo smentire che l’inflazione sia un fenomeno monetario, questi esempi ci indicano che l’impatto della creazione monetaria sui prezzi è sempre indiretto e mediato. La nuova quantità di denaro spinge certi prezzi all’insù, altri all’ingiù, e altri li lascia invariati dipendendo dall’ammontare che effettivamente viene speso – in gergo economico dalla domanda di denaro – e attraverso quali canali viene iniettato e si diffonde gradualmente sulla struttura produttiva, rivoluzionando i prezzi relativi e redistribuendo i rispettivi redditi. Negli esempi sopracitati, la creazione di denaro venne neutralizzata da altri fattori, quali ad esempio l’aumento della produttività e della domanda di denaro, e in gran parte trovò dimora nel sistema bancario e nei mercati finanziari, gonfiando i prezzi di una serie ben precisa di asset. Ciò che spiega i livelli preoccupanti dell’attuale inflazione è un cocktail ben preciso: creazione monetaria massiva da parte delle Banche centrali che è finita nelle mani del pubblico (attraverso vari stimoli e bonus, assicurazioni contro la disoccupazione, spesa in deficit), un sistema produttivo ancora in fase di recupero e una diminuzione nella domanda di denaro post-lockdown.
Chi punta unicamente il dito sui colli di bottiglia nelle catene di fornitura, in altre parole, ignora il fatto che l’aumento dei prezzi non è né settoriale né transitorio, ma generale e continuo: un fenomeno che può spiegarsi solo se si allunga l’occhio e si osservano le politiche non convenzionali delle Banche centrali, le quali si sono dedicate intenzionalmente ad aumentare costantemente l’offerta di denaro, causandone la svalutazione. Inoltre, come si spiega nel libro “Pandemia e Dirigismo. Come uscire da uno Stato di crisi permanente”, i colli di bottiglia, anziché essere la causa dell’inflazione ne sono l’effetto: l’iniezione monetaria e il conseguente aumento della domanda ha consentito alle aziende di entrare con maggior forza e tenacia nel mercato dei fattori di produzione, causando severe pressioni sul sistema logistico.
Le politiche dei bonus sono un cattivo rimedio all’inflazione. Come abbiamo potuto vedere nel caso del bonus edilizio del 110 per cento, queste politiche hanno favorito l’aumento dei prezzi e le pressioni sul sistema logistico, aumentando artificialmente la domanda per le materie prime. Per frenare l’inflazione bisogna porre fine alla stampante monetaria e al connubio tra lo Stato e il sistema monetario. La causa principale dell’inflazione nei secoli, infatti, come aveva intuito Luigi Einaudi 80 anni fa, è la monetizzazione del debito pubblico, politica che è stata perseguita intenzionalmente e costantemente in Europa dal 2015 in avanti.
Calmierare i prezzi, come recentemente i politici nostrani hanno proposto di fare, anziché sollevarci dall’abbassamento dei salari reali, aumenterà la scarsità, distorcendo ulteriormente il calcolo economico e l’allocazione delle risorse. Anziché diminuire la produzione, dobbiamo favorire la divisione del lavoro, la globalizzazione e l’incentivo al risparmio e all’investimento, frenando la spesa pubblica, diminuendo la pressione fiscale – in primis sul lavoro e sull’accumulazione di capitale – e restaurando la necessaria fiducia nell’unità monetaria.
(*) Vicedirettore di Storia Libera e co-autore di “Pandemia e dirigismo. Come uscire da uno stato di crisi permanente”, (Ibl libri, 2022), pagine 271, 18 euro
di Bernardo Ferrero (*)