L’Europa e il mondo: Unione e difesa

mercoledì 13 luglio 2022


Mi torna in mente un vecchio bando di arruolamento della pacifica Svizzera: “Sul territorio di ogni Paese c’è un esercito, il suo o quello degli altri”. E mi torna in mente ogni qualvolta l’Europa sembra sopportare di malagrazia la volontà di modernizzare l’apparato militare, quasi che i problemi della difesa comune non ci riguardassero, quasi che l’indipendenza non fosse un valore, un valore che solo la Francia, grazie a Charles de Gaulle, ha sentito come indispensabile. Cosicché oggi lei sola rende ipotizzabile che il Vecchio Continente abbia, almeno in prospettiva, la possibilità di una difesa strategica comune.

Che irrazionale fuga dalle responsabilità. Non c’è invece alternativa: l’Europa deve sostenere la Francia nella decisione di mantenere efficienti e moderni gli strumenti nucleari non per scelta, ma per necessità. Non per scelta, perché a nessuno fa piacere vivere in uno stato di “esistenza condizionata” dalla salute mentale di cancellerie e stati maggiori. Ma per reale necessità, perché in un mondo in cui non solo i grandi Stati-continente (Russia, Cina, India, Usa) ma anche il piccolo Israele o il Pakistan e perfino la Corea del Nord sono armati atomicamente, l’Europa non può fare altrimenti, pena la fine di ogni reale influenza nel mondo. Pena la perdita – ed è paradossale – di ogni possibilità di proporre un disarmo bilanciato alle potenze che prima di noi si armarono. Pena, soprattutto, la consegna ad altri della sua esistenza.

Non si tratta qui solamente dell’acuta invettiva del vecchio Franz Josef Strauss sugli europei difesi dagli americani – “non capisco perché 300 milioni di europei debbano farsi difendere da 200 milioni di americani, contro 250 milioni di sovietici” (allora erano questi i numeri) – ma di qualcosa ancora più importante: della possibilità stessa di fare l’Europa. In particolar modo, se si guarda criticamente agli avvenimenti dell’Ucraina che, al di là della loro tragicità in sé, a dispetto delle apparenze fanno intravvedere delle linee di frattura future per l’Europa. Senza l’atomica francese cadrebbe l’ipotesi di difesa europea e, senza questa ipotesi, la Germania e i Paesi della Mitteleuropa sarebbero di nuovo o costretti a guardare più a Ovest, verso gli Stati Uniti oppure al contrario a Est, verso quella Russia non più comunista che di tutto ha bisogno, ma che militarmente ed economicamente moltissimo può scambiare. E che, non dimentichiamolo, nella storia è stata più spesso alleata che nemica della Germania. Senza Unione europea, basata anche su di una credibilità nucleare, la Germania tornerebbe forse con il tempo a volgersi verso Est, verso il suo naturale territorio d’influenza danubiano e baltico. Ciò potrebbe risvegliare le antiche diffidenze dei francesi verso i tedeschi dominatori del centro Europa e portarli, come già è stato per i britannici, di nuovo in braccio all’America, mentre Russia e Germania potrebbero spingere la loro complementarità economica fino a una alleanza di fatto, che ricorderebbe gli accordi russo-tedeschi tra le due guerre.

Sarebbe di nuovo una pericolosa contrapposizione europea, che potrebbe assumere forme imprevedibili e che, oltre a segnare la probabile fine del nostro modo di vivere, tenderebbe a riproporre quello scenario che fece dell’Europa stessa terreno di influenza e di scontro di potenze esterne. Senza una difesa credibile, l’Europa non si fa. A tutt’oggi, solo la force de frappe francese è in condizione di assicurarla (se mantiene il passo con l’evoluzione tecnica). E allora dobbiamo tenerne conto e appoggiarla. Ma se l’Europa deve appoggiare risolutamente la Francia per potersi aggregare, lo Stato transalpino deve capire che la nostra difesa dell’armée è dovuta al fatto che la percepiamo già come europea.

Cominciare a pensare e agire di conseguenza. È tempo che si inizi a costruire l’Unione europea anche nel settore degli armamenti strategici e, se non si può ancora dire quando sul bottone nucleare vi sarà un dito europeo, anziché solo francese, bisogna cominciare a dichiarare esplicitamente che l’obiettivo è questo. La Francia deve imparare a essere veramente europea, affinché la Germania, l’Italia, la Spagna siano europee. E anche perché essere europea è l’unico vero modo che le rimane di restare francese. Se in un mondo ormai multipolare vi può essere una ragionevolezza dell’irragionevole (e non ho una risposta), essa può consistere nell’accettare che le grandi potenze, nel nostro caso l’Europa, svolgano una funzione di guida e controllo nelle rispettive aree, piuttosto che lasciare che anche piccole, destrutturate e instabili nazioni siano tentate dall’azzardo militare, proprio come quando si allontanano le armi soprattutto dai bambini.

È abbastanza insoddisfacente quello che scrivo, lo so, ma non riesco a unirmi al coro delle “anime belle”, che rinunciano a provare a orientare al meno peggio la realtà per restare, un po’ cinicamente, nel campo delle virtuose e vacue affermazioni. L’era nucleare è comunque cominciata e dobbiamo gestirla. Non bisogna chiudere gli occhi, dobbiamo porla al nostro servizio per crescere e se possibile per migliorarci, per proiettarci magari verso lo Spazio interplanetario vicino (dove sarà il futuro dell’umanità), senza lasciare che il pericoloso fardello ci spossi o, peggio, che venga raccolto da qualche emergente pericoloso tirannello. Il gioco del potere mondiale (e dell’influenza economica che questo potere assicura) è antico quanto il mondo e coinvolge tutti (si pensi solo ad Albert Einstein ed alla sua lettera a Franklin Delano Roosevelt per proporgli la bomba, altro che progenitore di Pugwash!). Noi che non vogliamo cambiare l’uomo, dopo i disastri delle ideologie che pretendevano di farlo, ne prendiamo atto e vogliamo, con cautela e determinazione, solo ridare all’Europa una voce nel concerto mondiale. Pronti, se gli altri lo faranno, a una pace il più possibile disarmata. Ma non imbelle. Anche perché da New York, dal rinnovo del Trattato contro la proliferazione nucleare, pare proprio che le grandi potenze, Stati Uniti in testa, abbiano creato le condizioni per vincere la loro battaglia e imporre una pax diseguale al mondo, con l’acquiescenza (non si sa se disinteressata o coatta) dei Paesi che hanno firmato la proposta canadese per rendere illimitato nel tempo il Trattato stesso. E cioè per far diventare permanente la divisione del mondo in nazioni armate atomicamente e nazioni disarmate.

È qualcosa di più della semplice divisione di fatto in nazioni nucleari. E non perché tende a fondare la discriminazione su di un “diritto” e a rendere tale diritto permanente. Le motivazioni di coloro che, pur disposti a rinnovare il Trattato, chiedevano che il documento restasse com’era, cioè di durata ventennale rinnovabile, erano basate sulla constatazione che le nazioni armate atomicamente niente hanno fatto finora per eliminare i loro armamenti. Per cui il Tnp (Trattato di non proliferazione nucleare), di fatto, si è rivelato un semplice instrumentum regni con cui il direttorio mondiale dei Paesi nucleari ha imposto agli esclusi un disarmo unilaterale. Sì, un direttorio mondiale, composto dagli stessi Paesi che già hanno il seggio permanente (e il diritto di veto) nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Un direttorio mondiale che (per il momento) ha accettato la pax americana, come dimostra la “tolleranza” mostrata verso quegli Stati stretti alleati degli Usa, come Israele, che la bomba se la son fatta di nascosto mentre l’America fingeva di guardare altrove.

È una palese e sostanziale ingiustizia il Tnp. E, se pure si deve assolutamente riconoscere che è un’ingiustizia davvero necessaria, per evitare che nuovi dittatorelli da strapazzo vengano riforniti di strumenti di ricatto nucleare, resta che l’ordine mondiale ancora una volta poggia unicamente sulla forza. È sempre grave quando la pace divorzia dalla giustizia e se, come occidentali senza nessuna infatuazione terzomondista, ci sentiamo partecipi della necessità di assicurare la stabilità internazionale, pure uno sforzo per ancorarla a principi di maggiore equità sarebbe stato non solo auspicabile, ma necessario. Le medie potenze non nucleari, occidentali ed europee, hanno in questo processo brillato per un’assenza totale, sono sembrate convinte che la loro politica estera dovesse consistere nel dire sempre automaticamente di sì agli americani (ma anche in generale a chiunque volesse qualcosa o alzasse la voce). Pare che i nostri siano sempre e comunque Paesi che devono farsi accettare o almeno dimenticare. Non si è capito, forse nemmeno ci interessa, che il compito dei nostri governi sarebbe quello di rappresentare i rispettivi popoli allo stesso modo che gli altri governanti occidentali rappresentano i loro. Non si è capito che l’alternativa al nazionalismo aggressivo (o di cartapesta) non può essere la servile negazione di ogni interesse nazionale, bensì la seria, preparata e tenace difesa dei nostri interessi, morali e materiali, ogni volta che sia necessario.

Ma, poiché non è certo il momento di nazionalismi fuori tempo (e potenzialmente molto più pericolosi in era nucleare), è solo nell’Unione europea che si trova la risposta. L’Ue dovrà darsi dunque una difesa comune e, alla lunga ma non troppo, avere un esercito davvero comune, così che nell’ambito della gerarchia disegnata dal Tnp o all’Onu, la Francia divenga Europa. Insieme ai sistemi d’arma maggiori e agli eserciti di mestiere, l’Europa dovrà forse poi copiare un po’ la pacifica Confederazione elvetica nel suo concetto di difesa distribuita e di cittadinanza in armi, non tanto a fini esclusivamente bellici (l’Europa non è la Svizzera) quanto a scopi civici (la coesione e la mobilitazione nazionale) e di difesa passiva (la diffusione di rifugi antiatomici).

Ma non è solo questione di difesa militare. Un’Europa della difesa dovrà anche preoccuparsi del problema dell’autosufficienza, perché la via dell’indipendenza passa senza alcun dubbio anche di lì. Promozione dell’autosufficienza energetica (cominciando dal nucleare) e alimentare nazionale ed europea, come scelta generale di sicurezza. Indipendenza e qualità della vita e poi politica di incentivazione al riciclo e risparmio dei materiali rari o inquinanti, attraverso l’uso di materiali di sostituzione, tecniche di riduzione e pratiche di riutilizzo. E infine politica di costituzione di scorte di materiali strategici. A suo tempo fu proposto, su impulso italiano, che l’Europa prendesse l’iniziativa di aderire al Tnp già come Comunità, per darsi finalmente una dimensione politica e per porre le basi di un futuro esercito integrato. Non era certo semplice, ma si doveva porre (e in parte si pose) il problema. Questa era la condizione per poter firmare il Trattato senza ipotecare la nostra sovranità, se non nei confronti di quell’Europa che gli europei vogliono liberamente costruire.

A ogni modo, la strada è sempre aperta e grazie alla Francia (la Gran Bretagna, da sempre divisa tra Europa e comunità di lingua inglese, ha ormai scelto quest’ultima e alla fin fine questo è forse un bene per noi) arriveremo comunque a quel risultato, ma solo se sapremo noi essere francesi e loro essere europei. Come il motto dei tre moschettieri: “Uno per tutti, tutti per uno”. E, ricordando poi il detto svizzero dell’inizio, se dobbiamo proprio avere bombe atomiche sul nostro territorio, che siano almeno le nostre.


di Giuseppe Basini