Governo: tempo di verifica

mercoledì 13 luglio 2022


In politica, tra i molti irredimibili brocchi, qualche cavallo di razza lo si trova. Prima però di svelare l’identità del purosangue, riavvolgiamo il nastro degli eventi accaduti negli ultimi giorni. Ieri l’altro, coup de théâtre: il Movimento Cinque Stelle non ha votato il Decreto “Aiuti” all’esame della Camera per la conversione in legge. Eppure, qualche ora prima aveva rinnovato la fiducia al Governo Draghi. Che succede? C’era aria di tempesta nel Paese e per il prossimo autunno si annuncia un terremoto sociale che travolgerà la politica. Perciò, i furbi se la danno a gambe. Almeno ci provano.

Giuseppe Conte, in caduta verticale di consensi, gioca d’astuzia. Tuttavia, il tentativo è a dir poco velleitario. Consapevole che la protesta sociale non tarderà a montare, il capo dei Cinque Stelle valuta che, dissociandosi adesso dall’azione di Governo, potrebbe candidarsi a rappresentare le ragioni degli “incavolati” per le decisioni sbagliate prese dall’Esecutivo di Mario Draghi. È legittimo tentare, ma non è detto che il giochetto riesca. Conte punta sulla memoria corta dei concittadini. Ma ha torto. Gli italiani non esiteranno a rinfacciargli il fatto che il Movimento grillino dall’inizio della legislatura nel 2018, da prima forza parlamentare, ha governato associandosi a tutti o quasi i partiti presenti in Parlamento. Il Cinque Stelle è stato determinante nel riplasmare, in negativo, la condizione del Paese. Troppo comodo adesso chiamarsi fuori e inventarsi fuori tempo massimo un ruolo d’opposizione, quando c’è già chi ne occupa lo spazio con dignità e coerenza. Parliamo di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia.

Mario Draghi non l’ha presa bene. Lo smarcamento di Conte gli complica i piani di fuga. Già, perché l’idea di tagliare la corda dopo aver ficcato il Paese in un cul-de-sac, con le sue scelte autolesionistiche in politica estera, lo stuzzica. Purtroppo per lui, Mario Draghi è condannato a restare al timone della barca Italia che comincia a sbandare. Quadro inquietante: una classe politica da encefalogramma piatto che si consegna all’annichilimento in un cupio dissolvi.

Uno scenario wagneriano da “Crepuscolo degli dei”. Ultimo atto. Scena prima: il Cinque Stelle il prossimo giovedì, al Senato, non si presenta a votare a favore del Decreto “Aiuti”, sancendo di fatto l’apertura della crisi di Governo. Scena seconda: il presidente del Consiglio con sguardo terreo, di prassi nelle ore buie della Storia, si reca al Quirinale per rassegnare le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica. Scena terza: Sergio Mattarella, emulo del suo predecessore Oscar Luigi Scalfaro, gli risponde “non ci sto” e lo rispedisce di gran carriera in Parlamento, per verificare se vi siano i numeri per tenere in piedi uno straccio di Governo. Anche pochi, risicati, ne bastano al Capo dello Stato per impedire il ritorno anticipato alle urne. Scena quarta: Draghi, costretto suo malgrado, si presenta alle Camere e scopre che una maggioranza senza Cinque Stelle è possibile. Archiviata l’agognata fuga resta l’obbligo di bere l’amaro calice della responsabilità governativa fino in fondo, quando la legislatura perirà di morte naturale, nel 2023. Fine del dramma all’italiana.

Tutto come da copione, se non fosse per l’apparizione in campo del cavallo di razza, non prevista nel canovaccio dell’opera buffa. Il purosangue è il solito Silvio Berlusconi. Bisognerebbe dire: quel satanasso di Silvio Berlusconi, che quando pensi che si sia ritirato a vita privata nei suoi vasti possedimenti, rispunta fuori dal cilindro del prestigiatore per fare la mossa che spiazza tutti e manda all’aria lo screenplay della commediola. Che combina il vecchio leone? Chiede formalmente a Mario Draghi una verifica di Governo. I più giovani, i millennial, una roba del genere neanche sanno cosa sia. Effettivamente, è da liturgie della “Prima Repubblica”. Nel vocabolario Treccani è spiegata così:” Nel linguaggio politico e giornalistico, accertamento della sussistenza delle motivazioni di fondo e delle condizioni che hanno determinato un’alleanza, una intesa, una coalizione di governo tra due o più partiti. La “verifica” si risolve in due modi: o il Governo sopravvive, o salta. La formula che ne annuncia la soluzione è uguale, con la differenza della presenza, in caso di esito sfavorevole della verifica, della forma avverbiale della negazione “non esistono le premesse per un rilancio dell’azione del Governo” oppure “esistono le premesse per un rilancio dell’azione del Governo”.

Chiarito cosa sia, proviamo a capire perché Berlusconi l’abbia scagliata sul tavolo del premier. Formalmente, per sottrarre Mario Draghi all’azione ricattatoria dei Cinque Stelle e per consolidare una nuova maggioranza in grado di sostenere fino all’ultimo giorno della legislatura l’azione di Governo. La sostanza, invece, è l’opposto. Berlusconi, vecchio cane da tartufi della politica, ha fiutato la trappola che il capo dei Cinque Stelle vorrebbe tendere a lui e agli altri partner di maggioranza: farli ritrovare con il cerino acceso in mano nel momento in cui l’economia nazionale verrà giù di botto, trascinando l’intera società civile nel crollo. Avrà pensato il vecchio leone: meglio prendere tutti in contropiede e andare a votare subito, prima che accada l’irreparabile. Berlusconi sa fare l’analisi dei costi e ricavi di un’intrapresa. È ipotizzabile che si sia fatto due conti e abbia deciso che staccare la spina al Governo sia più vantaggioso che intestardirsi a tenerlo in piedi. Fermare adesso i giochi significherebbe impedire al Partito Democratico di brigare con la Lega per riformare in senso totalmente proporzionale la legge elettorale. Inoltre, eviterebbe che la Meloni, già avanti di parecchie braccia sui due partner di coalizione nelle intenzioni di voto degli elettori, possa prendere il largo. Soprattutto, toglierebbe al Capo dello Stato il ruolo di dominus sugli assetti e sugli indirizzi governativi, restituendo centralità decisionale al confronto tra le forze di maggioranza nella costruzione dell’azione di governo.

Ma c’è un altro aspetto, di carattere personale, che può aver influito nella decisione di Berlusconi di rompere i giochi del teatrino contiano. Il vecchio leone teme che la piega presa dagli eventi nella guerra russo-ucraina sia molto pericolosa. Per sua natura, il leader di Forza Italia crede nella capacità del dialogo di rimettere a posto le cose, anche quelle già rotte. Sa di essere uno dei pochi al mondo ad avere una chance con Valdimir Putin per convincerlo a sedere a un tavolo di pace. Ma sa anche che, senza una legittimazione formale che lo rimetta in pista, non può fare nulla. L’occasione si era presentata con l’elezione del Capo dello Stato, ma la pochezza dei “nani” della politica nostrana ha impedito che la persona giusta finisse al posto giusto, nel momento del bisogno.

Oggi, le voci di dentro del sentire popolare dicono che, con questa legge elettorale, il centrodestra unito vincerebbe con ampio margine sul centrosinistra allargato. Berlusconi sa anche che ciò che potrebbe essere vero fino a ottobre non è detto che lo sarà la prossima primavera. É indispensabile cogliere l’attimo. Si obietterà: c’è la legge di bilancio da fare. Vero. Ma se si votasse al più tardi agli inizi d’ottobre, ci sarebbero ampi margini per il nuovo Parlamento di votare la Finanziaria entro la scadenza canonica del 31 dicembre, evitando così l’esercizio provvisorio di bilancio. Più fondata potrebbe essere l’obiezione: il Capo dello Stato alzerà le barricate al Quirinale piuttosto che concedere il ritorno alle urne. Possibile, ma i numeri che tanto piacciono a Sergio Mattarella se non ci sono, non ci sono. Neanche lui può inventarli.

Da qui, la mossa sorprendente della richiesta della verifica. In caso di rottura con i Cinque Stelle, potrebbe essere Berlusconi, trascinandosi dietro un Matteo Salvini sempre più frastornato, a interpretare la scena-madre dello statista tradito dalla miseria morale e ideale di Giuseppe Conte e dei suoi sodali, suggellandola con un epigrammatico tutto è perduto, fuorché l’onore. Verosimilmente, la verifica non ci sarà. Colle, Palazzo Chigi e Nazareno faranno l’impossibile per evitare che il boccino finisca nelle mani di Berlusconi. Convinceranno Conte a darsi una calmata. Per salvargli la faccia, gli passeranno un contentino al quale aggrapparsi per raccontare all’opinione pubblica di aver vinto. La verità è che tutti loro, i politici del nostro tempo, al netto di rare encomiabili eccezioni, hanno un solo credo al quale sono devotissimi: tirare a campare. E neppure si accorgono che, per come si stanno mettendo le cose, hanno la medesima aspettativa di vita in politica di un cappone in vista del Natale.


di Cristofaro Sola