Regno Unito del moralismo

domenica 10 luglio 2022


Boris Johnson è stato costretto a dimettersi da leader del Partito Conservatore britannico e da premier del Regno Unito, sebbene resti al suo posto fino alla nomina del suo successore, perché accusato d’aver detto il falso nell’Aula della Camera dei Comuni. Dopo aver nominato il deputato Christopher Pincher nel Governo, nonostante, durante serate molto alcoliche, costui avrebbe molestato sessualmente giovani uomini ed attivisti Tory, il primo ministro avrebbe dichiarato di non essere a conoscenza della cosa. Invece, esisterebbe prova documentale del contrario. Inoltre, al tempo della quarantena per i picchi dei contagi, durante la pandemia in atto, Boris Johnson avrebbe partecipato a ricevimenti serali, all’epoca vietati. Secondo previsioni demoscopiche, che in una nazione d’accaniti scommettitori devono essere una cosa seria, l’ottantanove per cento dei britannici, dei quali il cinquantaquattro per cento sarebbero conservatori, avrebbero espresso il desiderio di vederlo lasciare l’incarico.

Non si discute la serietà dell’atteggiamento dei britannici, e in genere dei popoli nordici, i quali esigono una moralità specchiata dal loro personale politico. Se in Italia tutti i ministri che avessero detto il falso in un’Aula parlamentare fossero costretti alle dimissioni, avremmo una girandola continua. Però, oltre a questo, non c’è un movente, in queste dimissioni, attinente alla sua politica. Eppure, Boris Johnson ha costruito tutta il suo mandato sulla secessione del Regno Unito dall’Unione europea, fin da quando fu sindaco di Londra. Non tutti, però, in Gran Bretagna ritengono ciò positivo. Nei supermercati scarseggia la frutta e la verdura proveniente, in passato, dal mercato interno dell’Unione; il turismo europeo langue; la cessazione del programma Erasmus, per la Gran Bretagna, ha fatto venir meno quello scambio di studenti universitari molto proficuo per le istituzioni accademiche. Per non parlare del complicato meccanismo per evitare di rialzare il confine tra l’Ulster e la Repubblica d’Irlanda, che finisce per isolare l’Ulster stesso dalla Gran Bretagna, causa non ultima della vittoria dei nazionalisti cattolici nelle ultime elezioni nella provincia irlandese, cosa mai vista prima. Il primo ministro scozzese, Nicoletta Sturgeon, annuncia un nuovo referendum sull’indipendenza dal Regno Unito, in quanto il precedente, del 2014, avvenne prima della Brexit. E gli scozzesi vogliono, a suo dire, far parte d’uno Stato membro dell’Unione europea.

I fautori dell’indipendenza del Regno Unito dall’Unione europea contano sulla sostituzione del mercato interno continentale con il mercato interno al Commonwealth britannico; ma il nuovo primo ministro australiano, Anthony Albanese, d’origine italiana, pare intenzionato a prendere il largo. Ed è un mercato di materie prime non indifferente per il Commonwealth. Il Regno Unito, in questo momento, è lo Stato aderente all’Alleanza Atlantica più impegnato a sostenere l’Ucraina contro in tentativo d’invasione da parte della Federazione Russa. Potremmo continuare. Su tutti questi argomenti, naturalmente, i sudditi di Sua Maestà britannica avranno, come è non solo lecito ma doveroso, opinioni diverse tra loro. Non uno di questi argomenti, però, fa capolino tra i motivi di queste dimissioni. Ora, è encomiabile l’attenzione britannica alle questioni morali. Ma, soprattutto in momenti di non ordinaria amministrazione, come questo, non bisognerebbe fare anche un poco di politica?


di Riccardo Scarpa