Asteroidi, meteore e stelle cadenti

sabato 25 giugno 2022


La scissione provocata da Luigi Di Maio interessa poco o nulla alla gente comune che ha altro a cui pensare. Tuttavia, liquidare il fatto politico dell’implosione dei cinque stelle facendo spallucce, è sbagliato. Per molte ragioni, delle quali due di palmare evidenza: il rispetto dovuto agli elettori che, nel 2018, li hanno votati e per le conseguenze che la rottura traumatica tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte avrà sulla scena politica. D’altro canto, i numeri dei parlamentari ex grillini che hanno deciso di seguire il leader scissionista nella nuova avventura sono ragguardevoli. Come la tempistica dell’operazione, che è stata perfetta. Fin troppo, per non indurre il sospetto che la rottura non sia tutta farina del sacco del giovane Di Maio. Potrebbe essere stata un’accurata regia occulta a guidarlo nelle diverse fasi dell’Exit strategy, dosandone le parole. E i silenzi.

Purtroppo, non abbiamo prove documentali sull’identità del burattinaio ma il fatto che esista e sia una figura di primissimo piano della politica lo conferma un indizio rilevante: l’alto numero dei parlamentari saltati sul carro dello scissionista. Se l’iniziativa del ministro degli Esteri fosse stata generata da una reazione istintiva agli attacchi ricevuti da Giuseppe Conte in quanti, oltre alla ristretta cerchia degli amici fidati, lo avrebbero seguito nel salto nel vuoto? È ipotizzabile che Di Maio, nello scouting, abbia speso quel nome importante, non pronunciabile in pubblico, quale dominus dell’operazione. Ed è possibile che i 62 ex parlamentari pentastellati51 deputati e 12 senatori – ai quali altri si stanno aggiungendo in queste ore, siano stati allettati dalla prospettiva di essere parte di un progetto più grande, che avesse a cuore la permanenza degli scissionisti all’interno delle istituzioni anche dopo la fine della legislatura in corso.

Per un appartenente a un partito precipitato dal 32 per cento del 2018 allo scarso 3 per cento delle recenti Amministrative sarebbe un dono piovuto dal cielo. Nella presentazione ai media della nuova aggregazione parlamentare, che al momento non è un partito, Luigi Di Maio non è stato in grado di delinearne un profilo identitario caratterizzante. Oltre uno scontato riferimento alla necessità di sostenere il Governo nella grave crisi che l’Europa e il mondo stanno attraversando a causa della guerra russo-ucraina, il leader di Insieme per il futuro (è il nome della nuova aggregazione) non si è spinto. Di Maio ha parlato con lo sguardo rivolto all’indietro, al suo passato nel Movimento, ai torti che avrebbe subito dai dirigenti del nuovo corso “contiano” e da Conte stesso. Sull’identità del “Mister X”, azzardiamo un’ipotesi: Mario Draghi. Cosa ce lo fa pensare? In primo luogo, non bisogna soffermarsi su quale sia l’aspettativa di Luigi Di Maio per il suo personale destino, ma domandarsi quale sia quella dell’attuale premier.

Draghi vuole restare in sella dopo che gli italiani saranno tornati alle urne per ridisegnare la composizione del prossimo Parlamento? A nostro avviso sì, lo vuole. E non necessariamente sul destriero nazionale. Ci sono incarichi internazionali di rilievo che andranno in scadenza nei prossimi due anni e che potrebbero calzargli perfettamente. Nel 2023, salvo complicazioni dovute alla guerra in atto, scadrà la proroga al mandato di Jens Stoltenberg alla guida della Nato; nel 2024, con il rinnovo del Parlamento europeo verrà nominata la nuova Commissione e l’attuale presidente, Ursula von der Leyen, non ha chance per essere riconfermata alla presidenza. Draghi sa che per poter concorrere a una delle poltrone lasciate libere deve poter contare sul ruolo proattivo del Governo italiano in carica nello sponsorizzare la sua candidatura. Siccome dei suoi attuali sostenitori non si fida, potrebbe aver valutato opportuno restare al timone per evitare brutte sorprese.

Ma Draghi non è un politico. Lo si intuisce ascoltando i suoi interventi in pubblico. Certe volte farebbe migliore figura se stesse zitto, viste le castronerie che tira fuori quando perde le staffe. È un banchiere. E non ha certo dimenticato il metodo con il quale un banchiere scala le aziende che vuole conquistare. L’ex capo della Bce (Banca centrale europea) non è persona da costruzione dal basso del consenso. E neppure da avventurismi nella creazione di nuovi soggetti politici. Grossolano errore commesso da Mario Monti nel 2012. Draghi scala dall’interno le forze politiche che gli interessano attraverso i suoi uomini di fiducia, sistemati nei Consigli d’amministrazione dei partiti-aziende.

A ben vedere, già oggi nelle governance di tutti i partiti presenti in Parlamento, tranne che in Fratelli d’Italia e Sinistra italiana, ci sono suoi plenipotenziari. Nel Movimento cinque stelle Luigi Di Maio si è proposto come interlocutore diretto e affidabile del premier, bruciando sul tempo un rancoroso Giuseppe Conte impegnato a elaborare il lutto della perdita della poltrona a Palazzo Chigi. Le connessioni di Draghi con i referenti nel Movimento sarebbero rimaste sottotraccia se Conte e il nuovo gruppo dirigente pentastellato non avessero messo in discussione l’appoggio al Governo.

Probabilmente, è stata la fibrillazione dei cinque stelle sul tema dell’invio delle armi all’Ucraina a spingere il premier ad attuare il “Piano B”: la scissione del Movimento che Luigi Di Maio si sarebbe intestato. La bastonata alle rotule ha fatto traballare Giuseppe Conte che appare, agli occhi dell’opinione pubblica, alla stregua di un pugile frastornato in disperata attesa del suono del gong per riprendere fiato e lucidità. Se questa dovesse confermarsi la realtà, Draghi avrebbe vinto due volte: mandando in frantumi le ambizioni di un pericoloso avversario e facendo passare un messaggio forte per tutti gli altri capi-partito. Insomma, una minaccia del seguente tenore: “Attenti! Quel che è successo a Conte potrebbe accadere domani anche a voi”. A voler individuare il principale destinatario del warning si fa presto: Matteo Salvini. Anche le pietre sanno che il premier non lo sopporta e che vorrebbe fargliela pagare per la storia del mancato sostegno alla sua candidatura alla presidenza della Repubblica. Considerando che l’altro responsabile del siluramento di Draghi nella corsa per il Quirinale, Giuseppe Conte, è stato conciato per le feste, il leader leghista farebbe bene a guardarsi le spalle perché mala tempora currunt.

Anche in questo caso, c’è un indizio che potrebbe svelare la verità. Luigi Di Maio, alla presentazione della sua iniziativa, ha tenuto a ribadire che, per effetto della scissione, il cinque stelle non è più il primo partito nella maggioranza e in Parlamento, ma lo diventa la Lega. Perché questa precisazione? Un’infantile ripicca contro Conte per rimarcarne i fallimenti da capo politico del Movimento? Troppo banale come spiegazione. E poi: siamo sicuri che il giovane Di Maio si rivolgesse al suo ex partito? Un vecchio adagio recita: A nuora dico, perché suocera intenda. E qui non c’è dubbio che la suocera sia Matteo Salvini. Il ministro degli Esteri sembra voler dire al suo ex sodale al tempo del Conte I: Ringrazia che adesso sei il primo partito e puoi ottenere qualcosina in più dall’azione di governo che ti faccia recuperare immagine, ma bada a non scantonare con bizzarre idee di uscita dalla maggioranza perché potresti subire lo stesso trattamento riservato a Giuseppe Conte.

Come? E da chi? Un Giancarlo Giorgetti, campione “draghiano” in casa leghista, che esca fragorosamente dalla Lega portandosi via i pezzi pregiati del partito: i quadri locali leghisti del lombardo-veneto, del Piemonte e del Friuli-Venezia Giulia, per convergere in un’area centrista pro-Draghi, già affollata di folcloristici personaggi in cerca d’autore. Matteo Salvini, sfiduciato dal partito nel “suo” Nord e in calo verticale di consensi in tutt’Italia, sarebbe politicamente morto e con lui il centrodestra per come lo abbiamo conosciuto nei passati decenni. Ma se Salvini è incastrato dalla mossa Di Maio, non lo è Giuseppe Conte che, invece, si riappropria paradossalmente del suo destino e quindi può provare a dare a sé stesso e al Movimento cinque stelle una identità meglio precisata. Come reagirà l’avvocato di Volturara Appula allo scacco subito dal ragazzo di Pomigliano d’Arco? Un’idea l’avremmo, ma riparliamone tra qualche giorno.


di Cristofaro Sola