M5S: e poi non rimase nessuno

giovedì 23 giugno 2022


In casi come questi le sarabande dei richiami e delle memorie sono qualcosa più di uno sport: sono una necessità ulteriormente pittorica in un quadro post-moderno, ovvero post-politico. Dunque, quel ricordo offerto dalla immortale Agatha Christie di quei poveri indiani destinati a scomparire non sembra vano. Eppure, nessun giallo e pochissima suspense. Nessuna come questa è stata una scissione più anticipata, chiacchierata, prevista e, infine, attuata. A parte il fatto, per così dire tecnico, che i più di sessanta parlamentari andati con Luigi Di Maio rappresentano una differenza numerico-sintattica, collocandosi in un ambito laterale alle scissioni ribaltandone significati riduttivi. Quanto alla reazione del “mutilato” Giuseppe Conte, la sua compressa serenità somiglia a quei condannati a morte senza speranza, se non quella di andare a vivere in un mondo migliore. Per Conte, probabilmente, la vita senza Di Maio è la migliore possibile. Ma stiamo divagando.

Per cominciare, intanto, il point break definitivo che ha avuto dal suo preparatore Di Maio una ben studiata strategia che contemplasse una maxi-scissione spogliando il Movimento Cinque Stelle dal ruolo (e posto) di primo partito ceduto così alla Lega, ma evitasse pericoli imminenti per il Governo Draghi. E, quindi, per lo stesso Di Maio. In questo contesto, va osservato lo stesso ruolo di primo attore nella politica internazionale di un ministro degli Esteri costretto a stare sul filo del rasoio, a cominciare dalla sua credibilità nei consessi internazionali e ovviamente nei rapporti istituzionali in Italia. Per primo il Quirinale.

Il fatto è che la stessa struttura del M5S che, tra l’altro, un Di Maio ben conosce per avervi dato contributi non secondari sul piano di una grottesca rivoluzione contra omnes, era ed è di pura cartapesta, al di là delle non meno grottesche esternazioni di quell’Elevato che aveva fatto dell’antipolitica una sorta di nouvelle vague nel panorama italiano, ottenendo da subito un successo drogato ben presto insidiato dalla volontà di poltrone e di Governo. In quel preciso momento è scattata l’ora x del declino per un Movimento che, fra le numerose “scemenze politiche” imposte, ha quasi dimezzato il numero dei parlamentari e posto un chiaro niet al secondo mandato. Manco fossero tali espedienti il glorioso cammino del quale si vantava la leggendaria casa senza padroni. Quando, invece, si trattava di una casa senza politica.

In realtà, tutta questa vicenda ha l’acre sapore di un tradimento in grande stile temperato da certe note di bassi napoletani con i panni stesi. È la pietra tombale non tanto o non soltanto su quell’incredibile Hulk inventato da Gianroberto Casaleggio, ma anche sul finale di corsa di un populismo d’accatto del quale, purtroppo, continuerà a scorgersi un giustizialismo con una gradazione più o meno bassa. Ciò che va segnalato è il crollo di un ensemble che aveva lanciato il guanto di sfida, innanzitutto alla politica, dipingendola come la sentina di tutti i vizi da estirpare da quella scatoletta di tonno nella quale sono finiti dentro proprio loro mostrando, all’inclita e al volgo, il vuoto pneumatico di idee sommato a una arroganza volgare e irrispettosa, del cui contrappasso sono ora vittime.


di Paolo Pillitteri