Unione europea: una politica del tubo

martedì 7 giugno 2022


Nella Babele della guerra russo-ucraina c’è una piccola crociata che viene combattuta da pochi e con impressionante disparità di armi. Si tratta della guerra all’ipocrisia e alle menzogne con le quali i governi occidentali, e il nostro più di altri, tengono a bada le inquiete opinioni pubbliche. È un fronte di lotta complicato, tuttavia non possiamo tirarci via dalla prima linea. Perché tutto si può sopportare, ma non che un Governo inganni i propri cittadini. È doloroso doverlo ammettere: sulla sbandierata compattezza dell’Unione europea nel contrastare Vladimir Putin non c’è niente di vero e Mario Draghi mente quando racconta agli italiani dei suoi memorabili successi in sede comunitaria. È il caso dell’approvazione del sesto pacchetto di sanzioni alla Federazione Russa, comminato dall’Unione europea. Il varo del travagliato provvedimento è avvenuto nel corso del Consiglio europeo straordinario del 30-31 maggio, a Bruxelles. Si è giunti all’accordo grazie a un compromesso raggiunto con i più riottosi a inasprire i rapporti con Mosca. La macchina propagandistica dei media di regime ha puntato il dito sul solito Viktor Orbán, l’amico ungherese di tutti i nazionalisti del mondo, a cominciare da quello che alloggia al Cremlino.

Ma è troppo comodo avere a portata di mano l’uomo nero sul quale scaricare tutte le colpe per gli errori compiuti. Deprecabile che anche il nostro premier abbia fatto ricorso alla falsificazione della realtà per dare una robusta mano di vernice coprente alle sue incapacità. Punto di contrasto per l’adozione dell’ennesimo pacchetto di sanzioni ha riguardato l’embargo del petrolio russo esportato nei Paesi dell’Unione europea. Bruxelles ha avallato la narrazione secondo cui la misura, che se andrà a regime sarà soltanto all’inizio del prossimo anno, riguarderà tutti i 27 Paesi-membri dell’Ue a eccezione dell’Ungheria alla quale, per particolari condizioni geografiche (mancanza di sbocchi al mare), sarebbe stato concesso di continuare a ricevere petrolio dalla Russia. Così l’ha spiegata lo stesso Draghi. Tutto falso. Innanzitutto, non è solo l’Ungheria ma vi sono anche la Repubblica Ceca e la Slovacchia a beneficiare della deroga. E non soltanto loro. A guadagnare da questo imbroglio è, come sempre, la Germania. E anche la Polonia.

Ma facciamo un passo indietro. Il documento conclusivo del vertice al punto 5 del paragrafo sulle sanzioni recita testualmente: “Il Consiglio europeo conviene che il sesto pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia riguarderà il petrolio greggio, nonché i prodotti petroliferi, forniti dalla Russia agli Stati membri, con un’eccezione temporanea per il petrolio greggio fornito mediante oleodotto. Non si citano i Paesi interessati dall’“eccezione” ma si introduce un discrimine tra due modalità di trasporto del petrolio: via mare e tramite oleodotto. Solo la prima viene colpita dalla misura sanzionatoria, non la seconda. Ma di quale oleodotto parliamo? È il Druzhba, che in lingua russa significa amicizia. L’“oleodotto dell’Amicizia” è un residuato della Guerra fredda. Il più lungo al mondo – 4mila chilometri – ha una portata massima quotidiana di 1,4 milioni di barili. Dal 1962 (anno di entrata in funzione) trasporta petrolio grezzo siberiano e degli Urali dalla Repubblica ex-sovietica del Tatarstan e dall’Oblast’ di Samara a Mazyr, nella Bielorussia meridionale. Lì l’oleodotto si divide in due tronconi: uno meridionale, l’altro settentrionale. Il ramo meridionale attraversa l’Ucraina e a Užgorod, nell’Oblast’ della Transcarpazia, si fraziona in ulteriori due rami che vanno: il primo in Slovacchia (Družba-1 il percorso originario), il secondo in Ungheria (Družba-2). Il ramo slovacco si divide ancora presso Bratislava: un tratto punta verso nord-ovest diretto in Repubblica Ceca e l’altro si dirige a sud, in Ungheria. L’oleodotto Družba-1 attraversa il confine ungherese a Dregelypalank e giunge a Százhalombatta.

Il ramo settentrionale, invece, attraversa la Polonia per giungere a Schwedt in Germania, dove si collega con l’oleodotto Mvl a Rostock e Spergau. Ora, qual è il quadro che si delinea dopo la decisione di Bruxelles? Quello di un’Unione europea a geometrie variabili. Tre dei ventisette membri hanno di fatto ottenuto una deroga a tempo illimitato. Germania e Polonia, attraversate dal tubo che viene dalla Russia, si sono impegnate a chiudere gradualmente il rubinetto dell’oleodotto nel ramo che finisce in casa loro. Attenzione, però: l’impegno non è vincolante. Significa che, per l’ennesima volta, ciò che vale per i comuni mortali non vale per i “cugini” tedeschi i quali continuano bellamente a fare gli affaracci loro a spese dei più fessi che, in Europa, sono quelli che hanno i Governi più deboli e più inclini a servire gli interessi dei poteri forti. Per l’Italia, che il petrolio russo lo riceve via mare, è un danno gigantesco. In Sicilia c’è la più grande raffineria del Paese. È della Lukoil Italia srl, dal 2009 divisione italiana della svizzera Litasco Sa a sua volta controllata dal colosso petrolifero russo Lukoil di Vagit Alekperov. Per effetto delle sanzioni varate, l’impianto siracusano di Priolo Gargallo deve chiudere, lasciando senza lavoro 10mila unità di personale, diretto e indiretto, oltre al danno per la mancata raffinazione di 14 milioni di tonnellate di petrolio all’anno, che corrispondono al 26 per cento della raffinazione di greggio sul territorio nazionale. La Bulgaria, che si è trovata in una condizione simile a quella italiana, ha avuto la prontezza di riflessi di concordare con Bruxelles una deroga per continuare a raffinare petrolio proveniente dalla Russia. Roma non si è degnata neanche di provarci. E poi raccontano delle magnificenze di questo Governo?

Altro che applausi, Mario Draghi e compagni meriterebbero pedate. Sapete cosa ha ottenuto l’uomo del “whatever it takes”? Non che in sede comunitaria si mettesse un tetto al prezzo del gas per evitare che la speculazione finanziaria si mangi gli italiani, ma un laconico riconoscimento dell’argomento, citato nel contesto fumoso delle conclusioni del vertice europeo. È scritto: “Il Consiglio europeo invita la Commissione a esaminare anche insieme ai nostri partner internazionali modalità per contenere l’aumento dei prezzi dell'energia, compresa la fattibilità dell'introduzione di tetti temporanei ai prezzi all'importazione, se del caso” (Punto 27, lettera a-Paragrafo IV. Energia). E questa sarebbe la grande vittoria di Mario Draghi, un insultante “ne riparleremo, se del caso”? Tra qualche giorno il Parlamento ascolterà le comunicazioni del presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo ordinario che si aprirà il prossimo 23 giugno. L’articolo 4 della legge numero 234 del 24 dicembre 2012, che detta le norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, prevede che il Parlamento possa adottare “atti di indirizzo volti a delineare i principi e le linee dell’azione del Governo nell'attività preparatoria di adozione degli atti dell’Unione europea”. Gli “inutili idioti” a Cinque Stelle hanno cominciato ad agitare le acque su una questione di nessun impatto concreto sulla realtà – lo stop all’invio di armi italiane all’Ucraina – nel chiaro intento di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dalla sostanza vera dei problemi. Sostanza che rimanda al suicidio economico dell’Italia in un contesto comunitario nel quale ciascun membro, a eccezione del nostro Paese, persevera nel favorire i propri interessi nazionali. Piuttosto che girare a vuoto su questioni inutili o troppo più grandi di noi, si obblighi Draghi ad andare in Europa a dire che la festa è finita e che se si richiedono sacrifici per aiutare gli ucraini, li si faccia tutti in pari misura; basta con la politica comunitaria dell’“armiamoci e partite”; basta con Berlino che fa la voce grossa contro Mosca con i nostri portafogli.

Finora gli italiani sono stati alla finestra a guardare. Tra poco andranno al mare lasciandosi i guai alle spalle. Poi però arriverà l’autunno. E con l’autunno, la previsione degli analisti è che la crisi economica deflagrerà in tutta la sua virulenza. Aziende che salteranno, prezzi dei beni di prima necessità alle stelle, contrazione del credito, difficoltà di approvigionamento delle materie prime e, soprattutto, aumenti incontrollati dei costi della benzina, del gasolio, dell’energia elettrica e del gas per le famiglie e per le imprese. A quel punto, non sarà l’inane albagia di Mario Draghi a salvare dalla rabbia popolare la “mostruosa creatura” del Frankenstein governativo, tenuta in piedi con lo scotch.


di Cristofaro Sola