Giustizia, le riforme che si dovevano fare mezzo secolo prima

mercoledì 20 aprile 2022


Non ci si poteva pensare prima? Magari anche 50 anni prima? La domanda che salta agli occhi per chi si desse la pena di ascoltare su Radio Radicale questo penoso (e di bassissimo profilo) dibattito parlamentare, che sta accompagnando il lento varo della riforma della giustizia e che porta la firma di Marta Cartabia, è sicuramente questa. Misure di piccolo cabotaggio e di assoluto buon senso che rappresentano ciò che si definirebbe il “minimo sindacale” del settore vengono vendute con il nome altisonante di “rivoluzione copernicana”. O con quello più scontato di “riforma epocale”. Poi se si ci si impegna ad ascoltare la discussione sui singoli articoli, si scopre che molti si compiacciono e si vantano di avere trovato equilibri e maggioranze in Commissione giustizia per vietare a un pm che abbia esercitato in una determinata città di candidarsi nella medesima e, se non eletto, di continuare la doppia carriera di magistrato dell’accusa in altra regione e di consigliere di opposizione nella regione o nella città in cui precedentemente aveva fatto parte della magistratura requirente. Una pezza a colori per evitare che, anche in futuro, ci siano situazioni come quella determinatasi con il candidato del centrodestra a Napoli nelle scorse Amministrative.

Ma ci voleva la riforma epocale di Marta Cartabia perché una legge di assoluta logicità come questa vedesse – sia pure faticosamente – la luce? Non ci si doveva già pensare mezzo secolo fa? Lasciamo da parte altre vexatae quaestiones come la separazione delle carriere tra accusatori e giudicanti e la responsabilità civile personale del magistrato per errori che configurino episodi di colpa grave o gravissima. Ma nessuno si domanda come mai, per decenni, sia stato concesso a questa ultra-casta di funzionari pubblici, oltretutto neanche eletti da nessuno e spesso insediati con concorsi pubblici tutt’altro che esenti da sospetti (e in certi casi da prove), di quel tipo di manovre sottobanco che oggi si chiamerebbero traffici di influenze, di vivere nel privilegio e nel paradosso? Cioè di diventare veri e propri “marchesi del Grillo” dell’Amministrazione pubblica della giustizia.

Qualcuno potrebbe anche ipotizzare che questo tipo di privilegi e prebende, che si assommano agli incarichi extra-giudiziali e a stipendi che, per molti di questi personaggi in cerca di autore e di talk-show, dovrebbero perlomeno venire dimezzati, siano stati il prezzo implicito che la politica ha pagato in cambio, per molti anni, di una relativa immunità. Poi, con lo scoppio di “Mani Pulite”, l’equilibrio e l’immunità sono saltati ma i privilegi, gli stipendi e i paradossi di carriera per magistrati a mezzo servizio tra inchieste mediatiche e politica sono rimasti.

Questa riflessione, dura e cinica, va fatta se si vuole affrontare in buona fede il dibattito infinito su queste riforme della giustizia che andavano fatte cinquanta anni prima e che faticano a vedere la luce persino cinquanta anni dopo.


di Dimitri Buffa