Il ritorno del 1948: non c’è più il comunismo, ma…

venerdì 8 aprile 2022


Deve già essere stato già detto da qualche parte, anche da noi, che c’è un ritorno del 1948. Spieghiamoci: la prima volta si era nell’immediato Dopoguerra, di qua o di là, con l’Occidente o con l’Est comunista (parliamo dell’Europa) e il nostro Paese, tra l’altro, aveva il primato del più forte Partito Comunista nel Continente. Il 1948 è stato l’anno della scelta, di qua o di là, con schieramenti analoghi, a parte le complicazioni italiche, tipicamente nostre, di un movimento Socialista finito in una scissione, giacché Pietro Nenni volle il suo Partito Socialista italiano alleato col Pci di Palmiro Togliatti (ricordate il proverbio comunista pre-elettorale: “Uniti e compatti con Nenni e Togliatti. Purché Nenni non tentenni!”). Fortunatamente non tentennò ma, da quella parte definita di destra, Giuseppe Saragat fece la scissione del Psi e si collocò fra i socialdemocratici in Europa. Saragat si portò dietro, escluso al Quirinale, questa “nomea centrista se non di destra” della quale a volte andava fiero, a volte si arrabbiava e scriveva un anonimo fondo per il giornale. Già destra o sinistra.

Il 1948 fu dunque una discriminante politica e storica ed è singolare oggi, a distanza di un cinquantennio, notare che le previsioni sia di Saragat che naturalmente di Alcide De Gasperi (Democrazia Cristiana) avevano colto nel segno, coniugando i rispettivi partiti nel solco democristiano e social-democratico europeo quando, al contrario, Nenni rimase abbarbicato al fronte popolare a guida Pci e agli ordini del Pcus, ovvero dell’Urss, in mezza Europa. Per molti anni il 1948 stato detto e gridato, a seconda della collocazione, come la scelta più giusta, anzi storica, che aveva salvato l’Italia dai governi di sinistra da un lato e, dall’altro, come una genuflessione al capitalismo Usa e all’imperialismo. E la propaganda del Pci fu talmente intensa e capace da ottenere, innanzitutto, un oggettivo indebolimento dei socialisti, sia nei confronti della Dc che del Pci. Una scelta storica, quella del 1948, soprattutto per i due tronconi di Psi e Psdi, tant’è vero che, come si diceva all’inizio, lo slogan gridato per le strade e le piazze italiane, quel di qua o di là, faceva leva ora sulla paura del comunismo ora su quella del capitalismo senza tuttavia porre mente al futuro del Vecchio Continente, che non poteva non essere di stampo liberal-democratico.

Si fa presto a dire ora, di qua o di là, come ebbe a rispondermi tanti anni fa proprio Pietro Nenni a fronte della mia “scissione” dall’Avanti! per seguire il Saragat del Psdi, eppure sembra ora così spontanea, ovvia per così dire dovuta. Una scelta, insomma, che era nelle cose. Nelle cose, sì, ma non nelle votazioni perché senza la scelta quella sì storica di Saragat, il voto degli italiani oscillava un po’ di qua e un po’di là. Un ritorno del 1948, come andiamo scrivendo, ma senza più il comunismo, aggiungiamo (la storia o cronaca che dir si voglia).

Il fatto è che, finita la paura del comunismo, altre paure sono giunte e altre se ne aggiungeranno sullo sfondo di divisioni davvero storiche e di non facile composizione nella misura nella quale, per esempio, quella fra ricchi e poveri, ovvero fra nazioni benestanti e Paesi in eterna difficoltà, tenderà ad aumentare al di là di buoni propositi e di qualche mancia ad hoc. In questo senso, assistiamo a una incessante corsa al centro che segnala una caduta finale delle ideologie, laddove un leader come Viktor Orbán, per citare il più nominato oggi, si rifiuta addirittura di volere essere catalogato in una qualsiasi formazione che non sia – sono sue parole – iscritta nell’album dei difensori della famiglia e della immigrazione controllata in una sfida all’ortodossia di una gauche che si è persa davvero per strada. E il ritorno al – o del – 1948 va inteso alla rovescia.


di Paolo Pillitteri