giovedì 7 aprile 2022
Il leader ungherese Viktor Orbán, domenica 3 aprile, ha vinto il suo quarto mandato consecutivo, sferrando un colpo decisivo all’opposizione composta, in prevalenza, da progressisti e verdi. Perché si sta prestando tanta attenzione agli sviluppi politici di un Paese con una popolazione di appena dieci milioni di abitanti? Innanzitutto, perché le elezioni politiche sono ormai diventate scontri ideologici fortemente polarizzati e le campagne elettorali una guerra per imporre una determinata cultura politica.
Orbán ha offerto l’esempio più importante al mondo di un politico che ha saputo opporsi a una sinistra nazionale e internazionale che ha calpestato i valori occidentali, sottoponendo le popolazioni a umiliazioni, solo pochi anni fa, inimmaginabili. Come risultato del suo successo, l’establishment progressista considera Orbán un “tiranno” sebbene l’Ungheria conduca regolarmente libere elezioni e Orbán sia stato eletto per la quarta volta consecutiva primo ministro.
Quali sarebbero gli abusi commessi da Orbán per essere tacciato di tirannia dalla sinistra progressista? La colpa del leader ungherese è di abbracciare i valori tradizionali occidentali: Dio, religione, famiglia, patria, nazionalismo, unità, libertà di espressione, frontiere sicure e migrazione ordinata. Ma non erano proprio questi i valori comuni europei? Non molto tempo fa, “l’Occidente”, cioè sia l’America che l’Europa, rivendicava la devozione ai “valori cristiani” e alle “sovranità nazionali”, valori evocati nella condanna occidentale dell’Unione sovietica. Oggi, invece, uno dei motivi per cui Viktor Orbán è considerato una minaccia per l’Europa è il suo riferimento alla concezione ungherese del “carattere cristiano del Continente”. Un anatema per i progressisti che vogliono distruggere la civiltà occidentale proprio perché basata sul Cristianesimo e sull’individualismo.
Fin dai primordi, i cristiani hanno imparato a vivere al di là dell’azione dello Stato, senza la sua protezione e dovendo persino lottare contro di esso, hanno esaltato le qualità dell’autosufficienza, del massimo sforzo lavorativo, della forza di volontà e dell’autocontrollo, quella disciplina interna che rende inutile per l’individuo cercare altre guide oltre a sé stesso. Al contrario, il progressismo, ovvero il socialismo di nuova confezione, cerca l’uguaglianza di condizioni, il minimo sforzo lavorativo, la redistribuzione forzata della ricchezza da parte di un Governo autoritario e centralizzato. Lo sbandieramento delle radici cristiane dell’Europa è sempre stato solo una cosa: propaganda. Per la classe dirigente europea, oggi, il dogma fondamentale ed elemento centrale della sua agenda è il movimento Lgbt e le sue varianti il cui comun denominatore è l’odio zelante ed estremo per la famiglia, la religione e per i ruoli di genere tradizionali. Ogni azienda, ogni ambasciata, ogni scuola e ogni pubblicità negli ultimi dieci anni è diventata sempre più “arcobaleno”.
Orbán e il suo partito, Fidesz, hanno sfidato questa ortodossia concentrandosi sull’appoggio alle famiglie della classe media ungherese e agli abitanti delle piccole città. La politica pro-famiglia è stata quasi certamente la più efficace di qualsiasi economia avanzata, fornendo benefici continui ben oltre quelli contemplati in altri Paesi occidentali. Avendo sempre posto la famiglia al centro degli sforzi di politica pubblica ungherese, Orbán aveva dovuto affrontare una feroce opposizione dall’interno dell’Unione europea per il suo rifiuto di piegarsi alla posizione pro-Lgbt del blocco, approvando un disegno di legge che vietava la promozione dell’omosessualità, del “transgenderismo” e di materiale pornografico ai minori nelle scuole, nonché la repressione della pedofilia. Sfortunatamente il referendum per l’approvazione di questa legge, tenutosi in concomitanza con le lezioni parlamentari, è risultato nullo per mancanza di quorum. Resta purtroppo il fatto che, per i leader europei, il diritto di promuovere sodomia e transgenderismo è più importante del diritto degli elettori ungheresi di proteggere i propri figli.
Orbán ha vinto le elezioni anche grazie alla sua politica estera esplicitamente realista che si è rifiutata di cadere preda delle venerazioni dell’Ucraina che ha afflitto tanti altri politici di destra in Occidente. Non dimentichiamo che l’Ungheria ha una lunga storia con la Russia, notoriamente una invasione del 1956 da parte dei sovietici che ha soppresso le forze di democratizzazione del Paese satellite. Nonostante l’Ungheria abbia accolto 140.000 rifugiati ucraini, il presidente Volodymyr Zelensky ha esplicitamente attaccato Orbán per non aver adottato sanzioni più aggressive e non aver fornito assistenza militare agli ucraini. Orbán, consigliando quella che chiama “pazienza strategica”, ha accusato la sua opposizione di fomentare la guerra con una retorica sconsiderata. Sulla questione ucraina, dunque, gli elettori hanno apprezzato la sua singolare attenzione per il popolo ungherese e i suoi interessi al di là delle semplificate devozioni di molti leader occidentali che odiano Orbán, proprio perché rappresenta gli interessi della gente e non quelli dell’élite. Protegge l’integrità elettorale. Tutela i diritti dei genitori. Difende i confini. La stampa conformista, che non può riferire su nulla in modo onesto, definisce il primo ministro ungherese un “autoritario” o “nazionalista” o “populista” come chiunque osi andare contro l’agenda europea.
La reputazione di Orbán come dittatore è legata, in particolare, al suo intenso conflitto con il finanziere di origine ungherese George Soros, la cui fondazione Open Society finanzia la stampa e ogni tipo di iniziativa per promuovere il suo sogno di una società senza confini, un sogno che però non sa dove fermarsi. Va notato che l’Ungheria è un piccolo Paese che non ha mai avuto un impero coloniale e quindi non ha rapporti storici con i popoli dell’Africa e dell’Asia come Gran Bretagna, Francia, Paesi Bassi e Belgio che possono assorbire l’immigrazione più facilmente dell’Ungheria, la cui identità nazionale sarebbe seriamente messa in discussione da una massiccia immigrazione.
Il rifiuto dell’immigrazione incontrollata è stato pertanto il terzo motivo della vittoria elettorale di Orbán che però, nel panorama mediatico polarizzato dove miti e falsità possono diffondersi a macchia d’olio, rimane una “minaccia per l’ordine internazionale”. Se si dovessero prendere alla lettera queste distorsioni giornalistiche, sarebbe facile concludere che la vita democratica e lo Stato di diritto in Ungheria sono stati rovesciati da un Governo tirannico.
di Gerardo Coco