Ucraina: diamoci tutti una regolata

giovedì 7 aprile 2022


Forse hanno ragione quelli che credono al complotto delle scie chimiche. Ci deve essere qualcosa nell’aria che ottunde i sensi e inebetisce. Non vi può essere altra spiegazione per ciò a cui assistiamo con la vicenda del massacro di civili scoperto a Bucha, in Ucraina. Ormai è un coro unanime che ripete allo sfinimento lo stesso ritornello: i russi sono criminali, Vladimir Putin è un macellaio che va processato per crimini di guerra. Ma dov’è finito il buonsenso? È stato mandato in Cassa integrazione? Intendiamoci: vedere gente ammazzata è sempre uno spettacolo raccapricciante. Non si può non rivolgere ai caduti un pensiero misericordioso. L’uccisione di civili, poi, è orribile. Detto questo, però, bisogna ragionare con lucidità. Va fatta una distinzione tra le cause di morte. Già, perché un conto è essere vittime di uno scontro bellico, altro conto è venire intenzionalmente torturati e ferocemente trucidati per incutere terrore tra la popolazione inerme. Ora, le immagini che sono state diffuse dal teatro di guerra di Bucha mostrano gli uni e gli altri tipi di caduti. Vi sono i corpi senza vita delle vittime delle sparatorie che vi sono state, nelle aree urbane, durante la presa russa della città ucraina. Corpi di civili lasciati ai bordi delle strade o gettati nelle fosse comuni sono la drammatica controindicazione della guerra combattuta in luoghi popolosi. Resta lo sgomento per le sorti di coloro che vengono classificati con odiosa espressione “danni collaterali” di un atto bellico. Non dovrebbero esserci, eppure è inevitabile che vi siano. Sono comunque vittime di un crimine? Quando si combatte una guerra, il concetto stesso di crimine viene assorbito da quello onnicomprensivo di guerra, che tiene insieme fatti e comportamenti che in tempo di pace non sarebbero consentiti. Poi si sono viste le immagini di morti a cui erano stati legati i piedi e le mani. Persone, molte giovanissime, decedute per un colpo di pistola alla nuca. E donne, a cui è toccato l’oltraggio dello stupro prima della morte. Qui la guerra è il fattore scatenante di una ferocia umana che non può in alcun caso essere tollerata e che va colpita con la massima durezza.

Gli alleati non hanno avuto il minimo dubbio nell’accollare la responsabilità dell’accaduto a Putin e ai suoi carnefici. Può darsi che sia andata come la raccontano i media occidentali. Tuttavia, dovendo sanzionare qualcosa di gravissimo, non sarebbe opportuno essere meno assertivi e più prudenti nell’attribuzione delle responsabilità? Si deve o no tenere conto della circostanza che il principale sospettato neghi con risolutezza ogni addebito e ribalti l’accusa sugli avversari? Dov’è finito lo spirito garantista che amiamo coltivare in tempo di pace? Non siamo forse i primi a sostenere che la colpevolezza dell’imputato debba essere dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio? Vale per noi e vale anche per gli altri tale principio o preferiamo il garantismo a corrente alternata? Dovrebbero essere per primi gli organi d’informazione a porsi delle domande anziché ripetere come pappagallini ammaestrati ciò che i politici vogliono che si dica alla pubblica opinione. Che tristezza vivere in un tempo in cui i giornalisti non sanno più porsi domande ma si acconciano a ricopiare sentenze scritte da altri. Poniamole, invece, quelle domande scomode.

Riguardo alle immagini dei cadaveri che si presentano con le mani e i piedi legati, si dà per scontato che sia stata opera dei russi. Possibile che gli uomini di Putin siano stati così stupidi da non aver pensato di cancellare le tracce degli orrori compiuti prima di ritirarsi da Bucha? Non sono fuggiti all’improvviso, ma hanno evacuato la città occupata secondo un piano prestabilito. Quindi, avrebbero avuto tutto il tempo per apparecchiare una scena a loro meno sfavorevole. Perché non l’hanno fatto? Cadaveri legati e imbavagliati. Si può ammanettare qualcuno dopo che sia morto? Presumibilmente, sì. Allora, dove sono le prove inconfutabili che quei poveracci siano stati legati prima di essere uccisi e non dopo la morte ad opera di qualcuno di diverso dalle truppe russe occupanti? Non abbiamo risposte. Dovrebbe essere una commissione indipendente di esperti ad analizzare i corpi e le scene del crimine per stabilire se vi sia stata o meno manomissione. Soltanto dopo aver acquisito l’inoppugnabile certezza sull’identità degli autori delle atrocità diviene doveroso perseguirli con la massima severità. Farlo prima puzza di demagogia, di pretesto per continuare una guerra che andrebbe fermata subito e non incentivata con il sovraccarico della propaganda. Anche perché ci si rende ridicoli e ci si espone all’ironia dell’avversario. Come è capitato al pessimo Joe Biden, che continua imperterrito la sua battaglia d’odio personale contro Vladimir Putin. Se si urla che il leader russo vada trascinato davanti a un tribunale internazionale per rispondere di crimini di guerra, il minimo che possa capitare è che la controparte replichi: se processate me dovete processare anche tutti i presidenti statunitensi che hanno autorizzato o avallato massacri in giro per il mondo.

Se la mettiamo sul piano che i crimini li commettono solo gli altri e noi siamo illibati come le educande di un collegio femminile facciamo torto alla storia e alla nostra intelligenza e offriamo al nemico solidi argomenti per dimostrare che non siamo credibili. Ecco a cosa portano le buffonate di Biden alle quali, purtroppo, molti leader occidentali vanno dietro come cani al guinzaglio. Senza scomodare la tragedia di Hiroshima e Nagasaki, nell’agosto del 1945, quante volte le bombe americane hanno fatto vittime tra i civili? Per rimanere dalle nostre parti, ci sono ancora molti anziani napoletani che ricordano bene i bombardamenti a tappeto delle fortezze volanti Usa tra il 1942 e il 1944. I 200 raid aerei sulla città partenopea causarono circa 25mila vittime civili. Eppure, nessuno osò chiedere di processare per crimini contro l’umanità Franklin Delano Roosevelt. E neppure fu chiesto di mandare a giudizio Harry Spencer Truman per le 25.000 vittime civili del bombardamento alleato su Dresda tra il 13 e il 15 febbraio 1945. Eppure, i presidenti Usa erano consapevoli dell’atrocità delle missioni se è vero che fu proprio Roosevelt a scrivere a Winston Churchill il 30 luglio 1943: “Bombardare, bombardare, bombardare… io non credo che ai tedeschi piaccia tale medicina e agli italiani ancor meno… la furia della popolazione italiana può ora volgersi contro intrusi tedeschi che hanno portato, come essi sentiranno, queste sofferenze sull’Italia e che sono venuti in suo aiuto così debolmente e malvolentieri”. E i 72.489 abitanti di Tokyo caduti sotto i bombardamenti americani? Si dirà: sono fatti del passato, andati in prescrizione. Gli italiani, i giapponesi, i tedeschi, sono stati grati agli americani per quelle bombe che, pur facendo del male alla gente comune, l’hanno salvata da un pericolo più grande. Anche in tempi recenti le bombe occidentali non se ne sono state tranquille. Dalla Serbia all’Iraq le popolazioni civili di quei luoghi ne sanno qualcosa.

Capitolo stupri in tempo di guerra. Se non vi piace la storia e preferite la letteratura leggete La Ciociara di Alberto Moravia per apprendere qualcosa su ciò che combinarono alle donne della Ciociaria i goumier (soldati alleati marocchini in servizio nell’esercito francese) agli ordini del generale Alphonse Juin. Per stimolarli alla lotta, il generale francese fece loro questo illuminante discorso: “Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete”.

Capitolo atrocità. Anche su questo argomento l’Occidente non può dirsi innocente. Mỹ Lai, vi dice niente? Vietnam,1968. Il 16 marzo soldati statunitensi della Compagnia C, primo battaglione, 20esimo fanteria dell’11esima brigata, della 23esima divisione di fanteria, guidati dal tenente William Calley raggiungono Mỹ Lai, frazione del villaggio di Sơn Mỹ, 800 chilometri a nord di Saigon. Sono alla ricerca di guerriglieri Vietcong. Non ne trovano. Il posto è abitato da donne, vecchi e bambini che vengono massacrati. I vecchi torturati, le donne stuprate, i bambini uccisi. Terminata l’operazione saranno 347 i cadaveri lasciati al suolo. Solo il 12 novembre 1969 il mondo scopre la verità su  Mỹ Lai, grazie al giornalista freelance, Seymour Hersh, che aveva indagato sull’accaduto. L’esercito, dopo un primo tentativo d’insabbiamento, è costretto dalla pressione dell’opinione pubblica mondiale a mandare a processo il tenente Calley per l’omicidio premeditato di 22 civili vietnamiti. Il militare statunitense, nel 1971, viene condannato all’ergastolo nonostante avesse dichiarato a sua discolpa di aver agito su ordini superiori. Dopo poco riceve un atto di indulgenza dal presidente americano, Richard Nixon. Calley ha scontato la pena ai domiciliari per poco più di tre anni. È stato rimesso in libertà nel 1974. Nessuno però ha mai osato lontanamente tirare in ballo per quel massacro l’allora presidente Usa Lyndon Baines Johnson.

Capitolo torture. Vogliamo parlare della prigione di Abu Ghraib in Iraq o di Guantanamo? La lista dei misfatti sarebbe lunghissima, meglio finirla qui. Per stare all’attualità: o processiamo tutti i capi di Stato coinvolti in vicende di guerra, dal primo all’ultimo, trapassati e viventi, o la smettiamo con le pagliacciate e cominciamo seriamente a preoccuparci di come questa guerra in Ucraina debba cessare al più presto.


di Cristofaro Sola