Norimberga e il nuovo fallimento della giustizia internazionale

mercoledì 6 aprile 2022


In un crescendo di dichiarazioni talvolta poco aderenti alla realtà ma dal buon effetto mediatico, si è sentita quella relativa alla richiesta di una nuova Norimberga per processare Vladimir Putin e i responsabili di possibili crimini di guerra commessi nel conflitto in atto. Si pensava che dai tempi di quel processo, considerato una sconfitta dei principi giuridici basilari e un fallimento dal punto di vista storico, fossero stati fatti passi avanti. In effetti sforzi se ne sono fatti tanti ma, se qualche voce torna a invocare Norimberga, significa che il sistema della giustizia internazionale non funziona come dovrebbe. Dalle macerie della Guerra mondiale la Comunità internazionale si è dotata di strumenti sostanziali e processuali, per tentare di evitare il ripetersi degli orribili crimini avvenuti in quel conflitto e poter meglio contrastare l’efferatezza di taluni comportamenti umani.

Oltre ad avere sottoscritto Convenzioni a tutela dei diritti fondamentali dell’uomo e nel campo del diritto bellico, essa ha fatto seguire la creazione di strumenti per garantirne l’effettività. Sulla scia delle esperienze dei vari tribunali penali internazionali ad hoc, nel tempo è stata così istituita la Corte penale internazionale quale organo giuridico sovranazionale permanente, capace di punire gli autori dei crimini cui purtroppo assistiamo nel contesto dei plurimi conflitti nel mondo e, in particolare, oggi di quello ucraino. Soprattutto, sono state previste ben precise fattispecie penali alla cui violazione corrisponde la relativa pena, così rispettando i principi di legalità e determinatezza, in base ai quali nessuno può essere punito se un fatto non è considerato reato da un’apposita legge.

Aspetti considerati superflui a Norimberga, dove fu deciso che la Corte, composta solo da giudici dei Paesi vincitori, sarebbe stata competente a giudicare genericamente delitti contro la pace, delitti di guerra e delitti contro l’umanità. L’improvvisazione si rese necessaria in quanto non esistevano leggi che, in qualche modo, potevano punire alcuno degli orrori perpetrati dai nazisti, mai contemplati in una legislazione. O meglio, solo un codice penale militare al tempo già prevedeva un capitolo riguardante specifici crimini di guerra: quello italiano, emanato nel 1942, ancora oggi in vigore e considerato un modello di anticipazione del moderno Diritto internazionale umanitario. L’Italia era però tra i Paesi perdenti e il suo pur avveniristico codice non poteva certo essere preso a riferimento a Norimberga! Tornando allo strumento giuridico sovranazionale ora vigente, la Corte penale internazionale, istituita con il Trattato di Roma del 17 luglio 1998, pur avendo contribuito a superare l’inerzia della mera enunciazione formale dei diritti dell’uomo e a tradurre principi astratti in norme penali cogenti, mostra evidenti limiti a causa della mancata adesione di grandi potenze quali Russia, Stati Uniti e Cina.

Questi Paesi non membri ritengono che la Corte penale internazionale rappresenti una minaccia per la propria sovranità nazionale. E così molti crimini di guerra da essi commessi in svariati teatri operativi non sono mai stati perseguiti, in quanto per la loro investigazione sarebbe stato necessario l’intervento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, circostanza assai improbabile a causa del potere di veto che ognuno di essi ha all’interno del Consiglio di Sicurezza. Di fatto si è creata una giustizia valida solo per i Paesi meno influenti, ripetendosi così l’errore di Norimberga dove i crimini di guerra dei Paesi vincitori non vennero esaminati. A causa, pertanto, di quegli Stati che preferiscono tutelare i loro interessi nazionali piuttosto che quelli delle vittime di atroci delitti, l’essenza stessa dell’apparato giudiziario internazionale è messa a rischio. Invocare Norimberga è infatti la prova del fallimento del sistema.


di Ferdinando Fedi