Noi, il Papa, le armi e la guerra

mercoledì 30 marzo 2022


Adesso è noto a tutti, proprio a tutti. Se c’è un pacifista, al di sopra di ogni sospetto, quello è Papa Francesco. Adesso, ora, nel senso letterale della parola: il Pontefice, dopo aver di nuovo tuonato contro la guerra (contro ogni guerra, intendiamoci) ha per così dire chiesto ai contendenti di abolire le armi. Detto e fatto, commenterà qualche ottimista. Da domani, dunque la pace, pax in terra hominibus bonae voluntatis, detto in latino che per i Papi, in genere, è la lingua delle massime – stavamo per dire divine – raccomandazioni. Ma come ben sappiamo le cose non stanno così.

Intendiamoci: Papa Francesco svolge in modo appropriato o, per meglio dire sacrosanto, la sua missione che, nell’occasione, viene ulteriormente chiarita e rafforzata al di là di ogni dubbio. E ce lo spiega: “Io mi sono vergognato quando ho letto che un pugno di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a quello che sta accadendo adesso. La pazzia!”. Che vi sia l’Italia fra gli artefici di simile follia è, forse, ancora più grave per il Papa, che ne è ospite. Eppure, con sovrana indifferenza, si vorrebbe dire, il premier Mario Draghi procede in questa “pazzia”, ovviamente nel rispetto degli impegni presi dal nostro Paese di fare salire la spesa per la difesa al 2 per cento del Pil.

Il tema posto da Sua Santità da sempre è stato esplicitato dai Pontefici che, oggettivamente e secondo l’insegnamento di Cristo, non possono non dichiararsi contro la guerra, qualsiasi guerra: dunque contro la violenza, contro i nemici della pace. E poco importa che si tratti, come nel nostro caso, di legittima difesa contro una aggressione a freddo, densa di pericoli per gli inevitabili allargamenti e carica di rischi, in una minaccia comunque violenta e mortale. C’è, nei richiami papali, una nobiltà e un’altezza morale ineccepibili, ma anche un qualcosa di astratto. Il fatto è che una nazione, a cominciare dalla nostra, non può mai accettare simili imposizioni o, per meglio dire, simili ricatti non tanto o non soltanto perché difendersi dall’aggressore è umano, normale, d’obbligo da parte dell’aggredito, ma appunto perché la difesa della collettività è una dolorosa e doverosa necessità, considerando un sacro dovere la difesa della Patria, vale a dire “l’ambito territoriale, tradizionale e culturale, cui si riferiscono le esperienze affettive, morali, politiche dell’individuo in quanto appartenente a un popolo”, come spiega il Devoto-Oli.

Ma il Papa va oltre il richiamo alla consegna delle armi in qualsiasi caso, al di là, appunto della legittima difesa, giacché aggiunge: “La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali”. Tutto giusto, tutto vero. Ma di fronte a quanto accade in questi giorni cosa possono, anzi, cosa dovrebbero fare i governi? La risposta è addirittura ovvia: difendersi, anche con le armi, prendendo atto della realtà e “dimostrarsi all’altezza del loro dovere di garantire la sicurezza dei cittadini”, proprio perché la dolorosa e doverosa necessità della difesa va oltre qualsiasi credo o filosofia, anche a proposito della stessa fedeltà ai propri ideali di pace, ovunque e comunque.

Si tratta non solo, o non soltanto, di autodifesa in un mondo nel quale le armi odierne – chimiche, atomiche, biologiche – comportano una inevitabile corsa all’autodistruzione, ma di uno sforzo a largo raggio, nazionale, europeo e mondiale, perché educazione e conoscenza del problema, con annessi e connessi, siano prioritari, non occasionali. E non strumentali.


di Paolo Pillitteri