Quella di Putin non sembra una escalation di successo

venerdì 25 marzo 2022


Si fa un gran discutere a proposito di una sorta di escalation che sarebbe messa in atto da Putin, lo stesso che, invece, per altri sarebbe alla canna del gas, né più né meno. A ben vedere, la prima, l’escalation appunto, non risulterebbe neppure troppo difficile da separare dalla seconda, soprattutto per il vero e proprio flop della strategia putiniana. Strategia che, vale la pena ricordare per l’ennesima volta, si basava su una sorpresa contro l’Ucraina, con una aggressione improvvisa, che c’è stata ma che invece di provocare il desiderato ko, al contrario, ha messo in crisi, in virtù della reazione questa sì sorprendente di Volodymyr Zelensky, proprio lo stesso Putin, il quale si trova ora in mezzo al guado, con qualche pugno in faccia.

Non solo, ma l’arrivo in Europa in queste ore del presidente americano Joe Biden segnala non soltanto un risveglio della prima potenza mondiale dopo la scandalosa fuga voluta dallo stesso Biden dall’Afghanistan (che probabilmente spiega il rovinoso, per ora, attacco putiniano) ma mette una decisiva ipoteca sullo scontro in atto, schierandosi, senza “se” e senza “ma”, con i Paesi dell’Occidente, cioè con l’Europa. Il presidente degli Usa, dunque, non sembra procedere con silenziosa e innocua diplomazia in un contesto di vera e propria guerra nel cuore del Vecchio Continente ma, al contrario e con una certa sorpresa, pare non poco sensibile alla famosa massima di Niccolò Machiavelli secondo il quale “gli Stati non si governano con i Pater Noster”.

Meglio così, si capisce, non tanto o non soltanto in una condizione per ora solo agli inizi ma che già riporta nell’attualità, dopo lunghi decenni, la logica dell’escalation, tant’è vero che la stessa visita presidenziale coincide con la consegna di nuove armi a Kiev: droni e anticarro per contrastare un uso delle bombe al fosforo sullo sfondo, niente affatto improbabile secondo i Servizi Usa, di rischi di incidenti nucleari.

In tale quadro e nel corso di una simile urgenza, si colloca la richiesta avanzata nel suo discorso parlamentare da Mario Draghi, che ha parlato senza perifrasi di un aumento delle spese militari, suscitando una specie di dibattito in cui le posizioni dei partiti confermano, se ce ne fosse stato bisogno, il grado di lealtà alla maggioranza con sfumature salviniane che si augurano aumenti contenuti e limitati nel tempo, mentre Anna Maria Bernini ha dal canto suo proposto un aumento consistente delle spese che Nicola Fratoianni, al contrario, ha definito come “uno schiaffo agli italiani, un insulto all’intelligenza”, laddove Alessandro Di Battista ha definito Draghi obbediente “alla Nato, che da tempo chiedeva l’aumento delle spese militari”.

È uno stato delle cose non molto confortante per Draghi ma che non gli ha impedito di procedere anche se restano, nel giudizio di non pochi osservatori politici, i vuoti a dir poco impressionati (trecento) in un Parlamento nel quale parlava in diretta il presidente Zelensky. Un Parlamento svuotato, consapevolmente, di troppi suoi componenti da parte di coloro che si vantano di rappresentare la volontà dei loro elettori, cioè degli italiani. Non un sintomo, ma la prova che le indubbie ragioni degli ucraini contro l’aggressione russa non siano giudicate tali da una parte consistente della politica italiana. E l’aumento delle spese militari sembra un pretesto per bocciarle.


di Paolo Pillitteri