Web-umarel

martedì 22 marzo 2022


Vivere nell’era digitale offre indubbi vantaggi sul piano organizzativo: l’informatica risolve in frazioni di secondo rogne lunghe e noiose per cui avremmo impiegato ore, giorni e tante imprecazioni. Accade, però, che il sistema binario abbia contagiato i nostri cervelli e abbia esteso a tutto lo scibile il rozzo tifo da stadio. Da analogici eravamo lenti, ora il digitale ha costruito nella nostra mente un muro che ci impedisce di valutare pro e contro: sì o no, bianco o nero, vax o non vax, benzina o elettrico. Ci sono web-umarel di tutte le età che danno consigli a Elon Musk riguardo allo Spazio, e avrebbero qualche suggerimento anche nei confronti di Dio, sulla cui esistenza hanno l’unico dubbio della vita.

La colpa di tutto non è di Dell né di Hp, è di un sistema di informazione falsamente democratico che, una volta abbattuto il Raipolio, spinge a mettere sullo stesso piano testate tradizionali e smartfonisti da divano. Serpeggia la convinzione secondo cui giornali e tv sono al servizio di qualcuno (che è pure vero) ma non per questo la verità assoluta è appannaggio di qualsiasi poveraccio al servizio di nessuno, perché nessuno se lo fila. Il ragionamento successivo (ammesso che si abbia voglia di scalfire la superficie) è che, seppure alcuni abbiano interessi da difendere, i giornalisti veri sono professionalmente organizzati ed esperti, mentre l’uomo qualunque non ha sponsor, ma usa notizie d’accatto.

È vero che sul calcio si può pure chiedere a favore un rigore contro. Ma sugli argomenti planetari, no. E su Covid e Russia si sta veramente esagerando. I social, da palestra di idee, sono diventati una classe elementare in cui ognuno copia dalle enciclopedie per fare buona figura, con il vantaggio dell’elettronica, che consente di trovare tutto senza sfogliare libroni monumentali, e di pubblicare testi senza nemmeno averli letti. Ma questa scolaresca, saputella da adulta, è la stessa che da piccola faceva le smorfie ai saputelli piccoli, quelli, almeno, professionali. E più il tema è difficile, più i pierini insistono. Hanno tutti una soluzione, quella che i politici non hanno perché sono pazzi o incapaci o corrotti o tutte e tre le cose. Non sanno districarsi davanti a un modulo on-line, ma sono certi di imparare in mezz’ora strategie microbiologiche o militari, arsenali bellici, storie incrociate di superpotenze e di staterelli satelliti. Ci sono putiniani e zelenskiani, non nel senso di tifosi, ma di detrattori: ognuno trova gli orrori dell’uno o dell’altro, a prescindere dalla loro storia.

Aiutare i profughi è una buona azione. Ma per i professoroni della tastiera non conta nulla: il web ci ha convinto che le piccole cose non servono, occorre essere universali, poter imparare con due clic e subito insegnare alle masse quello scibile che prima costava anni di sacrificio e non finiva mai. Così i migliori saputellano che scrivere Kiev significa, automaticamente, essere filo-russi, dovete scrivere Kyiv! Ecco! Tutti questi studiosi emeriti sono ora terrorizzati da ogni spiraglio di accordo: tornare a parlare di Covid, cheppalle, non se ne può più. Dunque, è inaccettabile che i social non prospettino in anticipo un calendario di disgrazie future su cui pontificare. Ma, in fondo, prevedere le disgrazie per potersi preparare a risolverle con un post non serve: siamo tutti campioni del nuovo sport olimpico, l’instant-checcevò.


di Gian Stefano Spoto