Technè e autocrazie: perforare le corazze

lunedì 14 marzo 2022


Chi vincerà questa guerra assurda? Le Autocrazie o la Technè, gigantesco robot da combattimento delle nostre Democrazie che hanno perduto l’istinto per la Guerra giusta? Oltre alla tragedia delle perdite umane subite e degli incommensurabili lutti e devastazioni procurati a una popolazione civile innocente, rimarrà per sempre nella storia l’onta e la ferita inguaribile della strategia fallimentare di quello che si voleva uno degli eserciti più potenti del mondo, che sta concludendo tragicamente e cinicamente un’operazione di “polizia”, torcendola in una guerra impietosa che fa strage di civili e produce immense rovine urbane, con milioni di sfollati e profughi. Se si contava anche stavolta sul comportamento pilatesco dell’Occidente, come fu per la Georgia e la Crimea, l’errore è stato imperdonabile, se non altro per la decisione dell’Europa e degli Usa di fornire armi avanzate all’esercito regolare e alle milizie ucraine, cosa che ha consentito di rallentare a terra la spinta delle divisioni corazzate russe. Come al solito, abbiamo posizionato, per assoluta necessità ideologica (altrimenti, come pensiamo di poter fare ricorso ad armi letali?) i Cattivi tutti da una parte e di qua noi Buoni (chissà perché..) che, muovendoci per interposta persona (con il sangue e il sacrificio degli altri..), cerchiano nel conflitto ucraino di attualizzare lo schema di “Terrorizzare i terroristi”, secondo una fortunata battuta del rimpianto Charles Pasqua, ministro dell’Interno francese del Governo di Jacques Chirac del 1986.

La versione in ucraino di questa massima indimenticabile ha origine nelle (per così dire) virtù perverse della Technè. Esemplificando: i missili anticarro Javelin di fabbricazione americana sono in grado di “terrorizzare” anche i più evoluti dei tank russi che, per l’appunto, terrorizzano gli insediamenti civili nella loro avanzata. Andando oltre l’orrore delle mutilazioni, degli innumerevoli e inenarrabili patimenti di chi fugge i bombardamenti, delle sofferenze fisiche e morali di una guerra del secolo scorso e profondamente immotivata (una volta messa la spada di Brenno della minaccia dell’invasione valeva la pena trattare seriamente), occorre capire oggettivamente il senso di questo videogioco con perdite umane vere. Perché un oggetto pur esiste per noi (i russi sognano l’impero, noi no) in questo assurdo azzardo ed è, ancora una volta, come nel 1991 per la liberazione del Kuwait, una guerra tecnologica “asettica” tra volpi meccaniche, che fanno da trailer a una narrazione molto più estesa e dettagliata della guerra e della superiorità degli armamenti tra Noi e Loro.

Se i loro tank si rivestono di piastre esplosive per impedire alle testate degli Rpg di penetrare la corazza del carro, i nostri missili antagonisti come Javel si attivano a distanza fiutando con loro “naso” a infrarossi il calore dei motori del tank, per poi colpire in due tempi: il primo stadio impatta contro le piastre esplosive aprendo il varco in cui penetra la seconda testata ad alto potenziale, distruggendo tutto ciò che si muove sia al suo interno che all’esterno. Una terribile fine per i poveri carristi (esiste nelle cronache di guerra anche questa pietas? No, perché si tratta, per l’appunto, della fine giusta per un aggressore), mentre il commando che ha lanciato il Javel si allontana in tutta sicurezza, in un terreno lontano anche quattro chilometri dal punto di impatto. E qui, volendo, si apre un discorso filosofico di un certo rilievo, per mettere a confronto la forza del pensiero della Technè occidentale con quella bruta delle truppe corazzate messe in campo a fini aggressivi dalla principale autocrazia antioccidentale, che ha fatto finora propaganda sulla decadenza umana, etica e morale delle democrazie corrotte occidentali.

Ma se parliamo di Techné in astratto le cose non funzionano così, dato che un lanciarazzi, per quanto sofisticato, non è un automa che si aggira per i terreni dello scontro decidendo da solo i bersagli. Qui, a tutti gli effetti, il fattore umano è più importante che mai, e occorrono uomini forti, determinati e coraggiosi, che non hanno timore della morte, per arrivare a distanza utile dal bersaglio, sapendo che non ci sarà copertura aerea che tenga a coprir loro le spalle. Così è stato per i mujaheddin afgani che abbatterono, grazie ai missili Stinger, elicotteri d’attacco e cacciabombardieri russi, obbligando Mosca alla ritirata in quel lontano 1988. E dato che soldati e miliziani ucraini sono molto più numerosi dei mujaheddin afgani, e con molte più frecce all’infrarosso al loro arco, per l’Armata rossa non sarà una vittoria da ricordare, dovendo ancora conquistare metro per metro le città ucraine che resistono. La caduta prevedibile di Kiev sarà ottenuta a prezzi altissimi per Putin, con danni irreparabili all’Immagine-Paese della Russia, e un ritorno alla Guerra fredda a causa del suo isolamento politico ed economico.

Domanda: le macerie dei palazzi distrutti dai bombardamenti russi possono surrogare gli anfratti delle montagne afgane in cui si mimetizzavano i Soldati di Dio, per condurre con successo attacchi a sorpresa contro i mezzi corrazzati nemici? No, perché qui i Javelin non servono a nulla, dato che non ci sono (come avvenne a Stalingrado!) più strade intatte per far passare i blindati. All’epoca dell’Afghanistan i mujaheddin afgani montanari non si mossero mai all’interno degli abitati, mentre oggi tra quelle rovine urbane di Kiev e delle altre città ucraine distrutte vale, come in Siria, in Iraq e in Cecenia, solo il fattore umano della disumanità del cacciatore di prede, per cui si uccide e si viene uccisi, non si fanno prigionieri e la vita non conta nulla.

Vedremo se sarà (cinicamente) sufficiente l’impiego di migliaia di miliziani mercenari esperti, siriani e ceceni, reclutati dai russi per la caccia al nemico tra le rovine dei centri bombardati, o serviranno altre migliaia di caduti in divisa tra i ranghi della fanteria dell’Armata rossa. Certo, alla fine, senza un rapido successo della trattativa di tregua, perderanno gli ucraini e con loro tutti noi, perché la Dea Technè non fa sconti: la liberazione di un popolo ingiustamente oppresso si ottiene con l’impiego di un fattore umano determinato e preparato, che vola e rotola con l’ausilio della Techné superiore a quella del nemico, ma che per farlo deve avere almeno lo stesso coraggio di quest’ultimo a battersi per il trionfo delle proprie idee di civiltà, contro le mire imperiali di Vladimir Putin.


di Maurizio Guaitoli