Realtà virtuale e guerra reale

giovedì 10 marzo 2022


Si è evocata la guerra a proposito di pandemia ed eccola qui sul serio, con vere armi e veri nemici che si combattono. Così i No vax cedono il posto ai No war ma con lo stesso risultato: i primi hanno contato sullo scudo dei vaccinati così come i secondi contano sul fatto che, a combattere, siano altri. Ma il substrato sociologico è assai diverso. Se sui No vax ha prevalso l’arrogante prosopopea dell’ignoranza di chi si gonfia il petto di sicumera senza fondamento scientifico, sui No war agiscono motivazioni molto meno profonde ma, allo stesso tempo, dominate da un atteggiamento fine a se stesso, incapace di esprimersi razionalmente e che quindi va spiegato. Molto meno profonde, perché è assai facile dichiarare la propria preferenza per la pace rispetto alla guerra ma anche fine a stesso perché, oltre alla dichiarazione, non segue né può seguire alcuna proposta concreta.

Ma da dove derivano la paura che sta serpeggiando e, soprattutto, lo sconcerto che sta cogliendo crescenti quantità di persone, giovani e meno giovani? La paura ha origini ovviamente chiare e ci riguarda tutti. Ma lo sconcerto, cioè l’improvvisa necessità di guardare in faccia una realtà inattesa e non certo bella, ha radici di altro ordine. Il fatto è che, da un lato, ormai sono pochissime le persone che, in Italia come in Europa, hanno vissuto direttamente l’esperienza dell’ultima guerra e quindi, dall’altro, temiamo di essere costretti a occuparcene in prima persona senza conoscerne la natura. O, meglio, avendone avuto pseudo-conoscenza solo attraverso valanghe di film, libri, telegiornali, racconti personali e, dulcis in fundo, enormi quantità di videogiochi nei quali ragazzi e adulti si cimentano in battaglie finte ma che trovano decisamente eccitanti. Molti hanno saputo e sanno, dai mass media, di guerre locali combattute lontano da noi e sempre, dopo un attimo di desolazione, hanno pensato ad altro, proprio come, finito di giocare alla guerra con il computer, tornano alle proprie faccende. Mai avremmo pensato di dover passare dalla fiction alla realtà e, dunque, ecco emergere lo sbalordimento e il disorientamento perché la guerra sembra minacciare di uscire dal monitor e investirci esplicitamente, non come pura informazione o software ma come hardware in termini di materia ed energia.

Va da sé che, in un contesto del genere, ha buon gioco non solo il più classico e sterile pacifismo ma anche la diffusa tentazione di lasciare il Paese aggredito al proprio destino, magari sostenendo la tesi per cui, aiutandolo con le armi, faremmo il suo male, come se la resa a un potere dittatoriale, invece, fosse il suo bene. Naturalmente la contrapposizione fra interventisti, anche se indiretti e non interventisti fa parte della nostra storia e non deve quindi stupire. La realtà è che l’uso della forza militare, anche se per finalità ideali che ci trovano tutti teoricamente d’accordo, è inconcepibile da chi crede nel “dialogo” pur senza costrutto possibile o nell’“obiezione di coscienza” delle anime candide come se bastasse a commuovere l’aggressore persuadendolo a fare la pace. Purtroppo, l’attitudine alla convivenza fra i popoli, di per sé positiva, se intesa come rinuncia a una seria politica di difesa, combinata con l’effetto oppiaceo di un contatto puramente virtuale con le vicende reali, genera una debolezza pacifica ma ben poco rassicurante per il futuro delle democrazie contemporanee. In fondo, è proprio il caso di dire che l’antica sentenza di Vegezio, citatissima in questi giorni, è vera anche se capovolta e trasformata in si vis bellum para pacem.


di Massimo Negrotti