Historia magistra vitae

venerdì 4 marzo 2022


Tra le vecchie carte di mio padre, insigne giurista, Us Silver medal of freedom, latinista (il titolo ciceroniano gli sarebbe piaciuto), che ci ha lasciati alla soglia dei 100 anni, ho trovato un suo articolo, del 2002, sull’allargamento della Nato a Est. Ricorda il clima di cooperazione che si era stabilito, negli anni Novanta, tra le due superpotenze con la creazione del Partenariato per la pace, (Partnership for peace, Pfp).

La Russia di quel Vladimir Putin, che oggi sgomenta il mondo fino a minacciare l’olocausto nucleare, aveva manifestato il progetto – adesso sembra incredibile – di entrare, di lì a qualche anno, essa stessa nella Nato. Diffidenza reciproca e promesse disattese, da entrambi i lati, fecero naufragare quel sogno. I Paesi dell’ex Patto di Varsavia, uno a uno, aderivano all’Alleanza e la Russia cominciava a sentirsi isolata e accerchiata, come la piccola exclave di Kaliningrad che pure aveva trattati di libero passaggio – anche militare – con i Paesi limitrofi, ora entrati nell’Alleanza atlantica. Già a quell’epoca – preconizzava mio padre – la prospettiva di un ingresso nella Nato di un altro Paese dell’ex patto di Varsavia, l’Ucraina, si presentava foriero di problemi. Dio non voglia – diceva – che diventi la Danzica del nuovo secolo.

Non conoscevo questo scritto, ma le sagge parole di mio padre, avendolo conosciuto, non mi sorprendono. Se ora fosse qui con noi, direbbe che bisogna fermare le armi, negoziare e ripartire dal quel progetto di Partenariato per la pace in Europa, dissennatamente accantonato. E forse avrebbe aggiunto, da latinista quale egli era: si non vis bellum, para pacem.


di Raffaello Savarese