Che tristezza, questo Occidente

sabato 26 febbraio 2022


I media occidentali fanno a gara a oltraggiare Vladimir Putin per l’invasione dell’Ucraina. Tuttavia, tanto accanimento unito allo stupore per la piega drammatica assunta dagli eventi, non convince del tutto. C’è il sospetto che i toni apocalittici consegnati dai leader occidentali ai media nascondano un’inconfessabile verità: il declino dell’Occidente come forza egemone nello scenario globale. In tal senso è stato significativo il titolo d’apertura a tutta pagina del quotidiano francese Liberation:L’Impensable”. Ma come, l’impensabile? Davvero Stati Uniti e partner europei non erano consapevoli di ciò che sarebbe accaduto con l’incancrenirsi della crisi russo-ucraina? Sebbene anche nelle democrazie le leadership avvertano l’esigenza di tenere a bada l’opinione pubblica, non si può arrivare a prendere in giro la gente a tal punto. A tutto c’è un limite di decenza. I capi di Stato e di governo dei Paesi della Nato, a cominciare dall’inquilino della Casa Bianca, non sono anime innocenti. Se la parola è passata alle armi è anche loro responsabilità. E la piantassero con nascondersi ipocritamente dietro al “demonio” Putin.

Dopo decenni spesi a cercare scorciatoie per piazzare i missili occidentali sotto il naso del Cremlino hanno dato false speranze e fiato al nazionalismo ucraino, efficacemente interpretato dal presidente Volodymyr Zelensky. I “big” dell’Occidente nulla hanno fatto perché le autorità di Kiev non forzassero la mano, inserendo agli articoli 85 e 116 della Costituzione l’impegno a ottenere la piena appartenenza dell’Ucraina alla Nato e alla Ue. Il presidente statunitense, Joe Biden, in particolare, pur di marcare la distanza dal suo predecessore, Donald Trump, ha commesso l’errore di considerare Vladimir Putin un paria da snobbare. In complesso, non si è voluto affrontare seriamente un negoziato Occidente-Russia che archiviasse definitivamente la lunga stagione della Guerra Fredda. Non si è dato giusto seguito a quella geniale intuizione geopolitica ricordata come “l’accordo di Pratica di Mare” procedendo a un progressivo coinvolgimento della Russia nelle dinamiche economiche e sociali del contesto dei Paesi occidentali. E non lo si è fatto neppure quando si è cominciato a osservare un graduale scivolamento di Mosca verso la Cina. Si è rimasti fermi, contando sul fatto che le sole sanzioni economiche adottate nel 2014, all’indomani dell’annessione della Crimea alla Federazione Russa, sarebbero bastate per mettere in ginocchio il gigante euroasiatico.

C’è questo e molto altro a fare da cornice agli eventi drammatici ai quali assistiamo, pressoché impotenti, in queste ore. Ma la debolezza più intollerabile i leader occidentali l’hanno mostrata nel modo con cui hanno trattato gli ucraini: li hanno illusi. Ora si fa la voce grossa, ma quando Vladimir Putin ha ordinato le esercitazioni militari a ridosso dei confini ucraini con chiari intenti intimidatori, il presidente Usa, Joe Biden, cos’ha detto? Non un soldato americano o della Nato metterà piede in Ucraina. E cosa ha fatto? Ha richiamato i consiglieri militari mandati a Kiev a supporto dell’esercito ucraino, la cui presenza sul campo comunque avrebbe svolto una larvale funzione di deterrenza contro le intenzioni predatorie di Mosca. Nella realtà, è stato come dire a Putin: si accomodi pure. E l’uomo del Cremlino, che non è un pazzo ma un lucido statista con una visione da realizzare, non se l’è fatto ripetere. Li ha presi in parola, forte dell’esito vergognoso della fuga della coalizione occidentale dall’Afghanistan appena alcuni mesi orsono. Oggi gli ucraini hanno imparato qualcosa che gli uomini e soprattutto le donne afghane hanno imparato a loro spese: delle promesse degli americani e degli europei non ci si può fidare. Davvero si pensa che Vladimir Putin sia il nuovo Adolf Hitler e che l’odierno attacco russo all’Ucraina equivalga all’invasione nazista della Polonia, nel 1939? Se è così, bisogna tirare fuori gli attributi e combattere a viso aperto. Fino alle estreme conseguenze, come fece Winston Churchill, in queste ore molto evocato e a sproposito.

Ce la fa il balbettante inquilino della Casa Bianca a replicare alcuni passaggi del memorabile discorso di Winston Churchill alla Camera dei Comuni il 4 giugno 1940? Non si sforzi l’uomo più potente del mondo, almeno in teoria, a cercare nuove parole, quelle giuste, per accendere una luce di speranza nell’ora più buia: ci sono già, provi solo a ripeterle. “Abbiamo davanti a noi una prova del genere più doloroso. Abbiamo davanti a noi molti, molti lunghi mesi di lotta e di sofferenza. Chiedi, qual è la nostra politica? Dirò: è la guerra, il mare, la terra e l’aria, con tutta la nostra forza e con tutta la forza che Dio può darci; fare la guerra contro una mostruosa tirannia mai superata nell’oscuro, deplorevole catalogo del crimine umano. Questa è la nostra politica. Chiedi, qual è il nostro obiettivo? Posso rispondere in una sola parola: è la vittoria, la vittoria a tutti i costi, la vittoria nonostante tutto il terrore, la vittoria, per quanto lunga e difficile possa essere la strada”. Così parlava Churchill al suo popolo. E questa è la sola strada da imboccare se si crede che Putin sia il male assoluto.

Tutto il resto è moneta fasulla, messa in circolazione per dare in pasto all’opinione pubblica un’immagine appena giustificabile di un Occidente declinante. Le sanzioni economiche sono una crudele presa in giro. Presentate come l’arma finale contro l’establishment moscovita, non faranno alcun male a un Paese, la Russia, con la mano ben salda sul rubinetto del gas che sostiene le economie e le società europee; che ha un debito pubblico, rilevato per il 2020, al 17,8 per cento del Pil, di cui solo il 3,5 per cento in mani straniere; che ha accumulato riserve in valuta estera, contabilizzate al 29 ottobre 2021, per 623,2 miliardi di dollari. Le sanzioni economiche, se non colpiscono l’obiettivo, fanno male a chi le impone. Cari colleghi dei media, scriveteli per bene i titoloni dei vostri giornali, dite la verità. “Europa e Stati Uniti varano le sanzioni che colpiranno principalmente Italia e Germania e faranno un baffo al demonio del Cremlino. La Cina ringrazia”. Perché questo è lo scenario reale che ci attende quando si sarà prosciugato il torrente di lacrime versate per la “povera Ucraina” - di cui, per inciso, non frega niente a nessuno - che scorre nelle paginate dei giornali, nelle dirette televisive non-stop e nei noiosissimi talkshow, dove cosiddetti “esperti” si parlano addosso. Diciamola tutta: lo stupore degli occidentali è il disvelamento della loro ipocrita autoreferenzialità.

Le cancellerie europee e la Casa Bianca avevano messo in conto che la regione del Donbass sarebbe stata presa dai russi. Una perdita sopportabile a fronte della soluzione di una crisi spinosissima, ci poteva stare. Ciò che ha mandato ai matti i leader occidentali è stata l’invasione da Nord, con la capitale Kiev nel mirino. Loro se l’erano cantata e loro, da Washington a Parigi, a Londra, se l’erano suonata. Saltata la soluzione negoziale, adesso l’obiettivo di Putin è la resa del Governo ucraino a lui ostile e la sostituzione con un Esecutivo più collaborativo, che rinunci per sempre alla pretesa di portare l’Ucraina nella Nato. Ciò che Putin terrà per sé come souvenir di questa campagna d’inverno sarà la fascia costiera sud-orientale dell’Ucraina, con la città-baricentro di Mariupol’. Ciò gli consentirà di centrare due obiettivi strategici: la continuità territoriale con la penisola della Crimea e la chiusura, entro i propri confini, del Mar d’Azov, che diverrà a tutti gli effetti acque interne della Federazione Russa. Esiste, dunque, un nesso causale tra l’inaffidabilità di Washington e dell’Europa e la “follia” di Putin: una condizione terribilmente ideale perché s’imbocchi una strada senza ritorno. Eppure, un ottimista direbbe che una volta toccato il fondo non si possa che risalire. Non la pensiamo così. Esiste un’altra opzione: continuare a scavare per andare ancora più giù. I cittadini di Taiwan sono avvisati.


di Cristofaro Sola