È praticabile una pace ucraina?

lunedì 21 febbraio 2022


Non si può sopportare, in ragione dell’alleanza, l’ottusità dell’Amministrazione statunitense di Joe Biden sulla questione Ucraina. Se semplicemente di ottusità si tratta. Già si è scritto dell’impossibilità di contrapporre alle richieste russe di natura politica, intese a evitare ulteriori ampliamenti dell’Alleanza Atlantica verso le sue frontiere, la minaccia di sanzioni economiche, che non si rilevano nel caso di un popolo il quale fece “terra bruciata” attorno alle truppe di Napoleone e dell’Asse, il che volle dire affamare gli avversari, ma anche il medesimo popolo russo.

La questione è geopolitica, e solo su quel punto può trovarsi un accordo sulla pace in Europa. Bisogna distinguere tra Stati un tempo facenti parte dell’Unione Sovietica dalle già democrazie popolari dell’Europa orientale: i primi vennero coinvolti nella Rivoluzione bolscevica, perché già rientranti in un quadro panrusso; i secondi, formalmente indipendenti, furono gli Stati “liberati” dall’avanzata dell’Armata Rossa a fine della Seconda guerra mondiale. Nelle forme risorse ivi il sistema pluripartitico della fase liberale dopo la Prima guerra mondiale, ma i “Comitati di liberazione nazionale” non vennero mai sciolti: fu imposto loro di presentarsi alle elezioni in una lista bloccata, che assicurò una maggioranza di seggi in Parlamento al locale Partito Comunista, il quale statalizzò il sistema economico. Questi ultimi, crollato il comunismo europeo negli anni Novanta del secolo scorso, hanno disciolto l’alleanza coatta del Patto di Varsavia e sono entrati a far parte dell’Alleanza Atlantica e poi, per lo più, dell’Unione europea.

I primi costituirono con la Federazione Russa, l’8 dicembre 1991, una Comunità degli Stati indipendenti. L’Ucraina non ratificò mai il trattato, in quanto contestò il solo riconoscimento alla Federazione Russa della successione all’Unione Sovietica per quanto attiene alla rappresentanza nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; come pure il Turkmenistan, il quale rivendicò uno status di neutralità. La Georgia se ne uscì nel 2006, annunciando di voler aderire all’Alleanza Atlantica. La Russia, dopo la dominazione tartara del XIII secolo, ha subito invasioni sempre da Occidente: svedesi, Cavalieri teutonici, lituani, polacchi fino a Napoleone Bonaparte e Adolf Hitler, coll’appendice tragica di Benito Mussolini. Non è quindi affatto bizzarro che Vladimir Vladimirovič Putin, nelle sue funzioni di presidente della Federazione Russa, abbia disposto colossali esercitazioni militari per fare pressione sull’Occidente per ottenere che esso si impegnasse a non portare l’Organizzazione (militare) dell’Atlantico del Nord alle sue frontiere. Occorre solo la profonda ignoranza dell’Amministrazione d’uno Stato che ha appena due secoli di storia per non capirlo. E, invece di affrontare l’argomento, rispondere minacciando sanzioni economiche, cioè fischi per fiaschi.

La soluzione, però, è sotto gli occhi di chi conosce la storia europea del secondo Novecento. L’Austria, alla fine della Seconda guerra mondiale, era stata occupata dall’Armata Rossa, la sua diplomazia ne ottenne il ritiro dietro un impegno chiaro di neutralità: difatti non entrò né nell’Alleanza Atlantica né nelle allora Comunità europee. Fece parte solo del Consiglio d’Europa, organizzazione internazionale di tipo classico, del quale oggi fa parte anche la Federazione Russa. La Repubblica d’Austria ha potuto sviluppare in questo quadro, nella seconda metà del Novecento, la sua democrazia, indisturbata dalla Guerra fredda. Se l’Occidente vuole veramente stabilire una pace durevole in Europa, può proporre quello come modello per gli Stati già sovietici, fornendo alla Federazione Russa la cintura di sicurezza che richiede, magari entro l’ambito di quel Consiglio d’Europa di cui oggi fa parte.


di Riccardo Scarpa