Perché Matteo Salvini si proclama assolutamente contento

domenica 20 febbraio 2022


È un Matteo Salvini raggiante quello che si presenta in conferenza stampa: “Sono assolutamente contento – esordisce – con l’ok a cinque referendum su sei sulla giustizia… una pacifica rivoluzione per i cittadini italiani a trentanni da Mani Pulite… in primavera potremmo avere un’occasione storica”.

Insomma, per Salvini questo appuntamento sulla giustizia dovrebbe dare una spinta importante al suo partito e ai sondaggi niente affatto entusiasmanti. Non ha dunque tutti i torti il leader della Lega a cantare vittoria. Anche e soprattutto perché l’argomento del contendere è una di quelle sfide che si trascina da tanti, troppi anni, almeno quanti sono quelli dell’ormai famoso o famigerato trentennio della maxi-inchiesta del pool di Antonio Di Pietro e Francesco Saverio Borrelli, dei mass media osannanti al giustizialismo degli arresti eccellenti giorno dopo giorno.

Certo, se si volesse cercare il pelo nell’uovo, non sarebbe difficile trovare a fianco dei giornali entusiasti di Mani Pulite altri che battevano rumorosamente le mani come la Lega che, tra l’altro, si aggirava agitando il cappio nella Galleria di Milano, la stessa frequentata in cerca di facili applausi da quelli del Pool, soprannominati per l’occasione i quattro dell’Ave Maria. Trenta anni dopo, come suggeriscono il New Yorker e il New York Times, things change, cambiano le cose. Ed è un cambiamento a suo modo radicale (stavo aggiungendo: come i nostri Radicali dei referendum, ma sbagliando in parte). Benché, a ben vedere, l’appuntamento con i referendum, per di più sulla giustizia, sia di fatto un controcanto dal suono squillante e vincente nella misura con la quale si leva non soltanto al di sopra dei timorosi, frequenti, silenzi sull’argomento ma al di là delle stesse carenze all’interno di alcuni quesiti che hanno offerto il destro al neo presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, di sfoderare uno dei suoi insegnamenti tecnico-scientifici-politici di cui è l’indubbio maestro, o meglio, il dottor Sottile. La reazione dei partiti conferma, se ce ne fosse stato bisogno, la marcia in più salviniana a parte, come era prevedibile, la non soddisfazione “radicale” che, tuttavia, va anche ricercata in quella che si potrebbe definire una ancora scarsa pratica dei quesiti, anche dal punto di vista della chiarezza: Marco Pannella docet.

Quanto ai pentastellati era ed è più che prevedibile la loro ostilità a questi referendum che vanno a colpire il sancta sanctorum del loro (modesto e unico credo): il partito dei giudici, dei quali si sono presentati i più veri (ma a quanto pare non dotati di iniziativa) rappresentanti. Non è un caso, infatti, che al loro giudizio secondo cui i referendum poco o nulla incideranno sulla realtà giudiziaria italiana, corrisponda l’insoddisfazione di Eugenio Albamonte ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati secondo cui sono stati “ammessi solo i referendum graditi alla politica mentre sui temi etici si usa il microscopio, sulla giustizia no”.

Per quanto riguarda il Partito Democratico c’è un certo imbarazzo per il colpo basso sferrato da Salvini a proposito di un tema che non è mai stato nelle loro corde, soprattutto per non disturbare il guidatore, cioè i giudici. E infatti qualche dirigente si limita a rimproverare a Salvini la solita prevalenza di propaganda e poco lavoro nel Governo. Era dunque inevitabile che i referendum avrebbero scosso l’albero della politica e a ben vedere anche nel centrodestra qualche malumore è stato sollevato dal partito di Giorgia Meloni il che, tra l’altro, doveva essere nei pensieri reconditi di Salvini che, dopo mesi e mesi di “melonismo”, si vede ora grazie all’idea (non nuova intendiamoci) referendaria ripagato con gli interessi. Un Salvini che sta dando appuntamento alla data delle elezioni amministrative, sperando che l’abbinamento dei due impegni dia i frutti sperati.


di Paolo Pillitteri